Cinema: Segreti e bugie

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Segreti e bugie, di Mike Leigh, Gran Bretagna 1996, 141', con Brenda Blethyn, Marianne Jean-Baptiste, Timothy Spall - Palma d'oro al Festival di Cannes 1996

Scheda informativa

Segreti e bugie

di Mike Leigh, Gran Bretagna 1996, 141'

Con Brenda Blethyn, Marianne Jean-Baptiste, Timothy Spall

Palma d'oro al Festival di Cannes 1996

Cynthia vive modestamente nella periferia di Londra e ha un rapporto problematico con la figlia Roxanne, solitaria e aggressiva. A rompere la monotonia sono le viste del fratello di Cynthia, il fotografo Maurice, la cui moglie Monica non sopporta la cognata. Ma per il ventunesimo compleanno di Roxanne, Maurice invita entrambe a casa sua per festeggiare. Nel frattempo Cynthia viene contattata da Hortense, una ragazza nera che lavora come ottica e si qualifica come sua figlia: allibita, la mette alla porta. Successivamente le due donne si incontrano e Hortense rivela che dopo la morte della madre adottiva si è rivolta ai servizi sociali per conoscere l'identità della madre naturale, come permette la legge britannica, e ha scoperto che si trattava di Cynthia. Dopo lo smarrimento iniziale, cresce gradualmente un rapporto di grande affetto, anche se Cynthia non ha il coraggio di raccontare nulla al resto della famiglia: lei stessa aveva praticamente rimosso quel parto non voluto. La dolcezza di Hortense solleva Cynthia dalle frustrazioni quotidiane, al punto di chiedere al fratello di poterla invitare alla festa, presentandola come collega. A casa di Maurice e Monica, Cynthia raccontare la verità, scatenando sorpresa e rabbia, soprattutto nella figlia Roxanne, sconvolta dall'avere una sorella nera. Ma dopo un drammatico e sincero confronto in cui ciascuno ha il coraggio di uscire dalle proprie ipocrisie, i legami familiari si rinsaldano e tra Cynthia, Hortense e Roxanne si crea un nuovo rapporto di affetto.

La messa in scena

La cornice

La sequenza giunge a circa venti minuti dall'inizio del film e mette in scena il primo e unico incontro tra l'assistente sociale e Hortense. In precedenza l'evocazione dei servizi sociali si era avuta solo in occasione della lettera che la protagonista aveva inviato per attivare la procedura di conoscenza dei suoi genitori naturali. Il frammento qui riportato è la parte iniziale di una sequenza che dura complessivamente circa nove minuti. Si è scelto di privilegiare il primo approccio e l 'accoglienza verso l'utente, "sacrificando" il successivo colloquio non perché sia meno importante, ma per offrire una maggiore eterogeneità di rappresentazioni negli esempi filmici selezionati. Senza entrare ora nell'analisi più specifica dei vari parametri di sguardo, va detto che in tutta la sequenza l'assistente sociale si dimostra molto dinamica e disponibile nei confronti di Hortense, con un atteggiamento che unisce immediatezza e professionalità. In particolare, nella seconda parte della sequenza, qui non visibile, si dimostra molto attenta quando fornisce all'utente tutti gli incartamenti che le fanno scoprire l'identità della sua vera madre, uscendo per alcuni minuti dalla stanza in modo da rispettare la privacy di un momento così delicato e offrendo poi un fazzoletto alla giovane che sta piangendo di fronte alla rievocazione dell'abbandono avvenuto dopo il parto. Questa notevole carica di umanità si accompagna comunque a una spiccata consapevolezza professionale. L'assistente sociale affronta in modo molto immediato le incognite cui si troverà di fronte Hortense e appare ben consapevole del proprio ruolo, la cui sintesi è la battuta: "Siamo dei professionisti e sappiamo come affrontare questo genere di cose". Malignamente, però, proprio dopo questa battuta il regista mostra l'assistente sociale che guarda l'orologio e poi si rivolge verso la porta a dare il senso della sua fretta professionale che prevede già un altro caso. Tale sensazione è confermata nel successivo incontro tra i due personaggi che avviene dopo pochi instanti, all'esterno dei servizi. Hortense, leggendo gli incartamenti, ha appena scoperto che la madre naturale è bianca e pensa ad un errore. Chiede spiegazioni all'assistente sociale, che però la liquida un po' velocemente ed è letteralmente di corsa - esattamente come accade all'inizio della sequenza, durante la sua prima apparizione, che qui mostriamo - perché deve occuparsi di un altro caso. Anche in questo frangente, pur di fronte a uno degli esempi a prima vista più positivi della nostra galleria, la sensazione cinematografica è quella del distacco tra la dimensione del "caso" e quella della "persona". Non stupisce che, nelle oltre due ore successive del film l'assistente sociale non comparirà più, poiché Hortense sceglierà di rintracciare da sé la vera madre, nonostante la disponibilità della "professionista".

Come appare

Ciò che immediatamente colpisce nell'apparizione dell'assistente sociale è che per alcun secondi la sua testa resta confinata nel fuori campo superiore. Non si tratta ovviamente di una svista del regista, ma piuttosto della sottolineatura del suo movimento fisico e corporeo: scende le scale, si protende verso Hortense, si muove molto rapidamente per guidarla in un altro luogo. L'attenzione sul tronco e non sul volto permette di evidenziare che porta con sé una borsetta e una cartellina, ovvero due "accessori" che sintetizzano il doppio livello personale e professionale, come accade per molti altri aspetti della messa in scena di questo personaggio. La "dimenticanza" del volto è poi utile anche per chiarire che in questa sequenza la protagonista è comunque Hortense, con cui lo spettatore ha già una maggiore empatia affettiva e di cui conosce il dolore per la perdita della madre adottiva, i cui funerali ritmano i titoli di testa del film.

Quando le inquadrature si avvicinano e si dedicano con maggiore attenzione alla figura dell'assistente sociale, si coglie che è una donna ancora giovanile: veste casual con uno stile che può sembrare, a seconda dei punti di vista, un po' trasandato e disordinato o semplice e confidenziale, con colori non brillanti ma neanche troppo smorti. I suoi capelli lunghi, raccolti con una semplice coda, sono abbastanza spettinati e le movenze confermano la prima impressione: è un tipo molto dinamico, con un ritmo sincopato sia fisicamente che verbalmente, con accelerazioni e pause in cui cerca di lasciare spazio all'utente, salvo poi incalzarla con varie domande.

Nello sviluppo della sequenza la sua presenza è equiparata a quella della protagonista, con le stesse inquadrature e gli stessi tempi di ripresa, salvo nel momento in cui abbandonerà l'ufficio per lasciare sola Hortense di fronte al fascicolo sulla madre naturale. In questo caso, l'assenza dell'assistente sociale appare però come un segno della sua delicatezza verso l'utente e non come una mancanza di attenzione.

Che cosa fa

L'assistente sociale raggiunge Hortense che è in attesa, giungendo dalle scale a passo spedito. Con la stessa velocità si presenta - direttamente con il suo nome, Jenny Fore, senza ulteriori attribuzioni professionali - e conduce la giovane in ufficio, precedendola. Dopo averla invitata ad accomodarsi, si siede anche lei dalla stessa parte, evitando di frapporre barriere fisiche, e assume una postura non distaccata, ma protesa verso Hortense. In modo regolare, alterna gesti legati alla professione, come la richiesta dei documenti, a gesti più informali, come l'offerta di un cioccolatino. Tale alternanza si verifica anche nel dialogo - analizzato in specifico in un altro paragrafo - sempre in bilico tra le pertinenze legate direttamente al caso e altre dimensioni più colloquiali. L'insieme di questi gesti e atteggiamenti sintetizzano la duplicità del personaggio dell'assistente sociale. Da un lato sembra costretta a tenere un ritmo professionale molto elevato, senza pause possibili: giunge velocemente da Hortense e altrettanto rapidamente deve chiudere il colloquio nel finale (qui non mostrato) della sequenza, quando un altro caso la attende. D'altro lato, in particolare nell'avvio del colloquio, si dimostra molto attenta alla dimensione umana della persona che ha di fronte, e spesso i suoi gesti e le sue battute sembrano dettate dall'immediatezza personale e non solo dal ruolo professionale.

Va notato che in questo personaggio risaltano anche a livello fisico e visivo il senso di dinamicità ed elasticità, caratteristiche che raramente sugli schermi sembrano associate alla professione, come testimonia la maggior parte degli altri assistenti sociali presenti in questa galleria, di cui spesso si sottolinea il senso di rigidità e immobilismo.

Che cosa dice

Sincopata nei movimenti e nei gesti, l'assistente sociale lo è anche nei dialoghi, con un ritmo ora incalzante ora ricco di pause e di attese. Le prime battute che intrattiene con Hortense sono nel segno della doppiezza, intesa in senso letterale e non peggiorativo: "Scusami per questa topaia: sono anni che ci lamentiamo, ma che ci vuoi fare? Siediti mettiti comoda", che viene pronunciata mentre fa entrare Hortense nel suo ufficio e "Ti ci abituerai a questa burocrazia. Vuoi un cioccolatino?", che segue alla richiesta dei documenti della protagonista. Entrambe le battute

sembrano evidenziare lo iato tra le condizioni professionali e lo stile personale, quasi a voler rimarcare una sorta di estraneità ai luoghi e alle procedure in cui quotidianamente è immersa.

Nella fase immediatamente successiva, la sceneggiatura utilizza il dialogo per definire culturalmente e politicamente l'assistente sociale: non ha alcuna esitazione nel situare il mestiere di Hortense, che fa l'optometrista - cosa che invece manda regolarmente in crisi la maggior parte degli altri personaggi che appaiono nel film - e rivela di fare i cruciverba del Guardian, ovvero il quotidiano per eccellenza dei progressisti inglesi. L'immediatezza e la prontezza delle battute dell'assistente sociale si spostano poi anche su un piano più personale, quando si parla del vivere da sola o della scelta di fare figli. In questo caso, quando il discorso si sta approfondendo su questioni più delicate, l'assistente sociale può forse apparire un po' superficiale e invadente, con alcune battute che sembrano esprimere la presunta ovvietà della propria visione del mondo, cui Hortense reagisce in modo molto freddo e, forse, leggermente seccato. Successivamente l'atteggiamento cambia, con l'abbandono dell'immediatezza iniziale a favore di una maggiore professionalità, quando fa domande più specifiche ad Hortense, tese a cogliere i motivi della sua richiesta di conoscere l'identità della madre naturale. Se finora la protagonista ha spesso risposto in modo rapido ed essenziale, ora è l'assistente sociale che resta più sulle sue e ascolta. Si ha la sensazione che non sia cambiato solo il ritmo del dialogo, ma che di fronte a una maggiore profondità umana e al coinvolgimento emotivo di Hortense e alla delicatezza della sua situazione esistenziale, l'assistente sociale risulti di fatto più fredda e inadeguata. In questo senso, le risposte affermative che dà quando la sua interlocutrice le chiede se ha capito cosa intende dire, sembrano più di prammatica che effettivamente convinte. Ancora una volta, pur di fronte a un personaggio che appare immediatamente molto umano e disponibile, sul colloquio incombe una sottile ombra di controllo e di freddezza: dettato deontologico o stereotipo della rappresentazione?

Dov'è

Dopo la breve e solitaria attesa di Hortense in un luogo di passaggio, l'assistente sociale la conduce nel suo ufficio, che definisce "una topaia" ad un tempo scusandosi con l'utente e esprimendo la sua dissociazione da chi gestisce i servizi a livello amministrativo e organizzativo. Il luogo non è molto spazioso, appare arredato in modo anonimo, ma semplice e funzionale: complessivamente non ha l'aria cupa, ma è anzi ben illuminato e vede la dominanza di tonalità chiare. Alle pareti e sulle bacheche ci sono molti manifesti e volantini che si riferiscono ai servizi offerti o ai problemi trattati. Proprio su tale scenografia, la regia opta per una scelta interessante in riferimento agli sfondi di fronte a cui si situano i due personaggi. Alle spalle dell'utente spicca infatti un volantino in bacheca su cui è ben riconoscibile una parola in particolare: violence. Considerando che lo scenografo, il fotografo e l'operatore di un film di fiction realizzano consciamente le indicazioni del regista, tale rilievo non appare pura coincidenza, ed è ancora più emblematico se si considera che in questo momento del film Hortense non appare vittima di una violenza (cosa che invece si scoprirà successivamente, quando si capirà che lei è nata dopo una violenza subita dalla vera madre), né il clima all'interno dell'ufficio sembra teso o problematico.

Il senso di tale vicinanza diventa forse più chiaro con l'avvio del colloquio vero e proprio quando il montaggio itera le inquadrature dei due personaggi e mostra più volte il volantino prima citato. Le domande sempre più personali dell'assistente sociale, i suoi commenti in bilico tra la leggerezza e la superficialità, l'impossibilità di stabilire un rapporto profondo nell'arco di pochi minuti, rendono progressivamente il senso di disagio in cui si trova la protagonista, probabilmente comune - secondo la regia - a chiunque debba avere a che fare per la prima volta con i servizi sociali, sia in riferimento ai motivi per cui li si utilizza sia in relazione al clima un po' burocratico e inquisitorio che si respira.

Eppure, proprio la posizione fisica assunta dall'assistente sociale - che si mette a fianco di Hortense, dalla stessa parte della scrivania e non di fronte, in opposizione - sembra sottolineare un personaggio attento a non mettere barriere tra sé e l'utente e a fare di tutto per creare un senso di vicinanza e di disponibilità, anche se la postura protesa verso la protagonista, che viceversa è molto sulle sue, quasi rigida, può apparire come un'eccessiva intrusione nella sfera affettiva altrui. Ancora una volta, come risulta in molti altri paragrafi legati a questa sequenza, l'ambivalenza sembra la dimensione chiave dell'assistente sociale del film di Leigh.

I gesti chiave

Più volte l'assistente sociale si proietta verso la protagonista del film: si china a salutarla all'inizio, le indica la strada, la fa entrare per prima in ufficio, le chiede e poi restituisce il passaporto, le offre un cioccolatino. Anche quando è apparentemente statica, seduta comunque non lontano, la sua postura indica una dimensione proiettiva o incombente, a seconda delle valutazioni e dei punti di vista. In questo senso, i gesti chiave appaiono quelli che tendono a esprimere un senso di contiguità e di vicinanza, raddoppiati anche da una spiccata presenza e ritmicità verbale. Non si tratta solo di movimenti fisici o di posture specifiche, ma anche di sguardi e sorrisi, reazioni immediate o differite. Con la progressione della sequenza, tuttavia, questo tentativo di prossimità tende a trasformarsi, su un duplice livello: nei contenuti, il dialogo diventa più personale e meno scherzoso e Hortense assume un ruolo di maggiore profondità umana, rendendo meno partecipativa la sua interlocutrice; sul piano stilistico, le inquadrature più ravvicinate, con la prevalenza dei primi piani, e il montaggio più scandito, segmentano maggiormente lo spazio dei due personaggi, ritagliando una specifica dimensione per ciascuno ed eliminando la contiguità e la prossimità anche visiva che aveva caratterizzato l'avvio della sequenza.

Non appare un caso che il gesto chiave dell'intera sequenza, qui non visibile, sia l'abbandono della stanza da parte dell'assistente sociale nel momento in cui consegna a Hortense la cartellina con i documenti relativi all'identità della madre naturale e gli atti in cui si documenta la sua rinuncia alla bimba appena partorita. Se la temporanea assenza diventa il segno tangibile del rispetto nei confronti dei sentimenti personali, retrospettivamente, la ricerca di vicinanza della prima parte, ben visibile in questo frammento, pone un dubbio nello spettatore: sintomo di simpatia e di immediatezza caratteriale oppure segno di controllo e di uno sguardo attento a ogni minimo particolare?

Chi ne parla e come

L'assistente sociale è presente in prima persona e non è oggetto di narrazioni da parte altrui, se non quella dell'istanza narrante del film, che però qui agisce in modo oggettivo e lineare, senza incorniciature di alcun tipo. Nel dialogo tra lei e Hortense non ci sono riferimenti diretti al servizio sociale, ma ci si confronta sulla richiesta dell'utente, figlia adottata che desidera conoscere l'identità della madre naturale. Le uniche tracce riferite alla percezione del servizio sociale sono fornite, pur indirettamente, dalla stessa assistente sociale che sembra voler marcare la distanza tra la sua operatività e lo stile del servizio in cui opera, vissuto quasi come entità indefinita con cui appare molto difficile relazionarsi. In questo senso, due battute di dialogo - che sono specificamente analizzate nel paragrafo Cosa dice - appaiono emblematiche: "Scusami per questa topaia: sono anni che ci lamentiamo, ma che ci vuoi fare?" e "Ti ci abituerai a questa burocrazia". Può apparire un paradosso, ma in questa sequenza l'immagine del servizio sociale un po' scadente, freddo e impersonale è fornita in primis da colei che rappresenta tale servizio, anche se lei appare molto coinvolta nel tipo di lavoro che svolge, con una notevole dinamicità e carica umana. Pur considerando le stratificazioni della rappresentazione, per cui il suo personaggio è comunque una funzione narrativa all'interno di una fiction - che per definizione contempla livelli di invenzione narrativa e può raggruppare vari stereotipi esterni al servizio sociale in sé - la questione propone un interessante spunto: in che misura gli assistenti sociali tendono ad avere un'immagine negativa del servizio in cui operano o, addirittura, del proprio ruolo e delle funzioni che svolgono?

Da che parte sta

Nel frammento selezionato, l'assistente sociale sembra avere un ruolo di preminenza rispetto all'utente: muove la narrazione, è più dinamica a livello fisico, conduce il dialogo, si dimostra più sicura di sé e "gioca in casa", essendo la sequenza ambientata nei locali dei servizi sociali. Tuttavia, se si abbandonano criteri di analisi quantitativa e si considera il piano dell'enunciazione, ovvero del rapporto tra testo e spettatore, si nota che Hortense resta il punto di riferimento privilegiato, non solo perché già familiare a chi guarda il film da circa 20 minuti. E' infatti con lei che si avvia la sequenza, a dare il senso di una certa solitudine e inquietudine in un luogo che non è "nostro". La dinamicità dell'assistente sociale, vista con gli occhi di Hortense appare talvolta un po' invasiva o superficiale. Pur senza far ricorso ad inquadrature soggettive, in cui lo spettatore condividerebbe lo sguardo ottico di un personaggio, la complicità con l'utente è stimolata dal montaggio che rende bene il suo (e nostro) spaesamento di fronte alla sicurezza dell'assistente sociale: Hortense appare spesso un po' sulle sue, in disparte, non immediatamente reattiva. In questo senso, lo spettatore è probabilmente più vicino alla ragazza, conoscendone il rovello interiore rispetto alla sua ricerca del genitore naturale che la abbandonò da neonata. E' significativo notare che l'unico intervento musicale - ovvero una marca stilistica che accresce l'impatto emotivo sullo spettatore - dell'intera sequenza giunge poco dopo il frammento qui mostrato, quando Hortense resta sola di fronte alla cartellina che le svela l'identità della madre, mentre l'assistente sociale è fuori. Un'ulteriore conferma del fatto che il personaggio con cui condividere flussi emotivi non è l'assistente sociale.

Ipotesi di lettura

La sequenza, che mostra l'unica apparizione dell'Assistente sociale nel film, propone un personaggio molto dinamico e disponibile, caratteristiche che raramente sugli schermi sembrano associate alla professione, come testimonia la maggior parte degli altri Assistenti sociali presenti in questa galleria, di cui spesso si sottolinea il senso di rigidità e immobilismo.

Nei confronti della protagonista Hortense ha un atteggiamento che sembra unire immediatezza e professionalità. Si tratta di una donna giovanile che veste casual, con uno stile che può sembrare, a seconda dei punti di vista, un po' trasandato e disordinato o semplice e confidenziale, che ha un ritmo sincopato sia fisicamente che verbalmente, con accelerazioni e pause in cui cerca di lasciare spazio all'utente, salvo poi incalzarla con varie domande.

La duplicità appare il tratto dominante del personaggio e viene sottolineata a più livelli, a partire dalla sua prima apparizione in cui si notano una borsetta e una cartellina, ovvero due "accessori" che sintetizzano il doppio livello personale e professionale, come accade per molti altri aspetti del personaggio. Da un lato sembra costretta a tenere un ritmo professionale molto elevato, senza pause possibili: giunge velocemente da Hortense e altrettanto rapidamente deve chiudere il colloquio nel finale (qui non mostrato) della sequenza, quando un altro caso la attende. D'altro lato, in particolare nell'avvio del colloquio, si dimostra molto attenta alla dimensione umana della persona che ha di fronte e spesso i suoi gesti e le sue battute sembrano dettate dall'immediatezza personale e non solo dal ruolo professionale.

La vicinanza all'utente si traduce anche in senso prossemico, quando si siede dalla stessa parte della ragazza, evitando di frapporre barriere fisiche, e assume una postura non distaccata, ma protesa verso Hortense. In modo regolare, alterna gesti legati alla professione, come la richiesta dei documenti, a gesti più informali, come l'offerta di un cioccolatino. Anche la dialettica tra la sua professione e i servizi di cui fa parte viene più volte espressa in termini contraddittori, con il personaggio che sembra voler evidenziare lo iato tra le condizioni professionali e lo stile personale, quasi a voler rimarcare una sorta di estraneità ai luoghi e alle procedure in cui quotidianamente è immersa, ad un tempo scusandosi con l'utente e esprimendo la sua dissociazione da chi gestisce i servizi a livello amministrativo e organizzativo, smarcandosi così dallo stile del servizio in cui opera, vissuto quasi come entità indefinita con cui appare molto difficile relazionarsi.

Può apparire un paradosso, ma in questa sequenza l'immagine del servizio sociale un po' scadente, freddo e impersonale è fornita in primis da chi rappresenta tale servizio, che pure appare molto coinvolta nel tipo di lavoro che svolge, con una notevole dinamicità e carica umana. Pur considerando le stratificazioni della rappresentazione, per cui il suo personaggio è comunque una funzione narrativa all'interno di una fiction, la questione propone un interessante spunto: in che misura gli Assistenti sociali tendono ad avere un'immagine negativa del servizio in cui operano o, addirittura, del proprio ruolo e delle funzioni che svolgono?

Con il progredire del dialogo e l'emergere dei motivi per cui Hortense si è rivolta a lei, si ha la sensazione che l'Assistente sociale risulti più fredda e inadeguata. In questo senso, le risposte affermative che dà quando la sua interlocutrice le chiede se ha capito cosa intende dire, sembrano più di prammatica che effettivamente convinte. Ancora una volta, pur di fronte a un personaggio che appare immediatamente molto umano e disponibile, sul colloquio incombe una sottile ombra di controllo e di freddezza: dettato deontologico o stereotipo della rappresentazione?

Le domande sempre più personali dell'Assistente sociale, i suoi commenti in bilico tra la leggerezza e la superficialità, l'impossibilità di stabilire un rapporto profondo nell'arco di pochi minuti, rendono progressivamente il senso di disagio in cui si trova la protagonista, probabilmente comune - secondo la regia - a chiunque debba avere a che fare per la prima volta con i servizi sociali, sia in riferimento ai motivi per cui li si utilizza sia in relazione al clima un po' burocratico e inquisitorio che si respira.

Eppure, proprio la posizione fisica assunta dall'Assistente sociale - che si mette a fianco di Hortense, dalla stessa parte della scrivania e non di fronte, in opposizione - sembra sottolineare un personaggio attento a non mettere barriere tra sé e l'utente e a fare di tutto per creare un senso di vicinanza e di disponibilità, anche se la postura protesa verso la protagonista, che viceversa è molto sulle sue, quasi rigida, può apparire come un'eccessiva intrusione nella sfera affettiva altrui. Ancora una volta, l'ambivalenza sembra la dimensione chiave dell'Assistente sociale del film di Leigh.

Rinvii

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