Cinema: Ladybird, Ladybird

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Ladybird, Ladybird, di Ken Loach, Gran Bretagna 1994, 102' con Chrissy Rock, Vladimir Vega, Sandie Lavelle

Scheda informativa

Ladybird Ladybird

di Ken Loach, Gran Bretagna 1994, 102'

Con Chrissy Rock, Vladimir Vega, Sandie Lavelle.

A Londra, Maggie, che vive con un sussidio governativo, incontra in un pub Jorge, un immigrato paraguaiano, con cui intreccia una relazione. A lui racconta come gli assistenti sociali le abbiano sottratto i quattro figli, avuti da padri differenti: il suo ultimo convivente la picchiava davanti a loro, ed in sua assenza, dopo che si era trasferita coi bambini in un centro d'accoglienza, un incendio aveva quasi ucciso il maggiore e ustionato gli altri. Maggie tenta di rifarsi una vita con Jorge, che privo di permesso di soggiorno, è costretto al lavoro nero. Nasce alla coppia una bimba, ed essi trovano un appartamento, anche se i rapporti con l'anziana e scorbutica vicina sono tesi. Dopo aver depistato invano gli assistenti sociali, questi sottraggono la piccola alla coppia e contestano a Jorge la sua permanenza in Gran Bretagna. Al processo, anche a causa della falsa testimonianza della vicina, la sentenza è avversa e la figlia viene sottratta. Maggie, disperata, chiede a Jorge di lasciarla, ma questi, che ha finalmente ottenuto il permesso di soggiorno, la consola e resta con lei. Nasce un'altra bambina, ma anche questa viene sottratta alla coppia, quando Maggie è ancora in ospedale con la neonata. Maggie e Jorge si sentono crollare il mondo addosso e anche la loro unione sembra vacillare. Solo più avanti le cose si ristabiliranno: una didascalia informa che i due avranno altri tre figli che non saranno più sottratti dai servizi, mentre non potranno mai più vedere le prime due figlie.

La messa in scena

La cornice

Il film di Loach, basato su una storia realmente accaduta, è probabilmente tra i più conosciuti e citati in riferimento alla rappresentazione degli assistenti sociali. In molte sequenze della seconda parte appaiono diverse figure riconducibili ai servizi, anche se non si tratta sempre di assistenti sociali veri e propri. Sono però accomunate non solo nella qualifica, che nei titoli di coda unisce i vari attori che li interpretano nella categoria "social workers", ma anche nello stile che assumono, tendenzialmente ostile, inquisitorio e minaccioso nei confronti della protagonista Maggie e del suo compagno Jorge. In questo senso, la sequenza scelta appare emblematica, pur nella sua drammaticità estrema, di una serie più ampia di ricorrenze, sia precedenti che successive, in cui vengono messi in scena i difficili rapporti tra Maggie e i servizi.

Prima di questo frammento era stata un'ispettrice sanitaria a entrare in casa di Maggie per verificare lo stato di salute della bambina, dopo che già in precedenza aveva tentato di entrare, ma senza successo. Dopo un dialogo molto teso e freddo, la donna aveva invitato Maggie a mettersi in contatto con i servizi. In seguito, un giovane operatore aveva bussato alla porta della donna: sentendo piangere la bambina aveva guardato attraverso la buca delle lettere nella porta, vedendo solo la culla sul pavimento e senza scorgere alcun adulto. In realtà lo spettatore sa che Maggie è in casa, ma non vuole aprire ai sevizi. Questa sequenza, di poco precedente a quella qui selezionata, sembra spiegare l'irruzione dei servizi e il mandato di allontanamento. L'inesperienza dell'assistente visto in precedenza - interpretato da un attore molto giovanile - e la sua incapacità di capire realmente cosa stesse succedendo, gettano un'ombra inquietante sul successivo operato dei servizi, che in base a poche e frammentarie informazioni presumono uno stato di abbandono da parte della madre, già "schedata" dai servizi per le vicende relative ai suoi primi quattro figli.

Dopo questa sequenza gli operatori dei servizi sono protagonisti in altre due occasioni. A circa tre minuti dalla sequenza qui analizzata, si assiste a una serie di visite domiciliari in casa di Maggie, montate di seguito, senza soluzione di continuità, in cui operatori sempre differenti fanno domande spesso simili, per verificare se la bambina può tornare presso i suoi genitori, scatenando alla fine le violente proteste della protagonista.

Infine, verso l'epilogo della pellicola gli assistenti sociali reiterano l'azione della sequenza selezionata in questa sede, allontanando la nuova figlia avuta dalla coppia dei protagonisti, con la madre che è ancora in ospedale, a poche ore dal parto, in una scena altrettanto drammatica.

Non stupisce che il film di Loach risulti così uno dei più simbolici in riferimento a un tipo di immaginario che vede gli assistenti sociali come ladri di bambini, sposando completamente la causa della protagonista, come ben testimoniano le didascalie che chiudono il film, al termine della citata sequenza dell'allontanamento in ospedale: "Maggie e Jorge hanno avuto altri tre figli e ottenuto l'autorizzazione a vivere con loro". "Non hanno ottenuto l'autorizzazione a vedere le loro prime due figlie". "Maggie dice che pensa ogni giorno ai suoi bambini perduti".

Bambini "perduti" recita la didascalia, bambini "rubati" pensa probabilmente la maggior parte degli spettatori.

Come appare

L'assistente sociale che appare in questa sequenza non è particolarmente caratterizzato in senso fisico e visivo. Ciò da un lato sembra coerente con lo stile realista e senza fronzoli del film di Loach: il personaggio, un uomo piuttosto alto e dall'aria giovanile è molto naturale, vestito in modo informale. La sua scarsa caratterizzazione a livello visivo è però funzionale anche ad un altro aspetto, ovvero la sottolineatura del suo ruolo strumentale, che non prevede autonomia ma si pone sul piano meramente esecutivo. In questo senso l'assenza di denominazione e la completa estraneità del personaggio anche in riferimento al sapere dello spettatore - soprattutto se confrontato con la ricchezza di sentimenti, anche contrastanti, legati alla figura di Maggie - ne fanno un puro esecutore, che aggiorna la funzione di controllo dei suoi colleghi visti in precedenza e si pone come attuatore di una decisione presa altrove, che non contempla minimamente, almeno in questa fase, alcuna dialettica con la donna, che qui è recepita, agli occhi dei servizi perlomeno, solo come potenziale ostacolo alla riuscita dell'operazione di allontanamento della bambina, vera "utente" dell'operazione.

E' importante notare che la sua apparizione nella sequenza non è preannunciata, ad esempio da un'inquadratura all'esterno, ma risulta una sorpresa anche per lo spettatore, che viceversa condivideva la quotidianità domestica con Maggie, sua sorella, l'amica e le varie nipoti. In questo senso, l'arrivo dell'assistente sociale diventa un imprevisto, già a livello percettivo, anche per lo spettatore, che esplicita ancora una volta la scelta di campo del regista, tutta dalla parte della protagonista.

Che cosa fa

L'assistente sociale è qui impegnato in occasione di un allontanamento famigliare, situazione delicata sia dal punto di vista operativo che umano. Non sono molte le azioni compiute fisicamente, ma tutte molto significative e coerenti con una raffigurazione del personaggio completamente chiuso nel suo ruolo, piuttosto insensibile di fronte al dolore della protagonista. In modo schematico, le azioni si potrebbero suddividere in due grandi aree, quella del controllo e quella del contenimento. Fin dal suo apparire sulla soglia, l'assistente sociale cerca di scoprire dov'è la bambina, con mezzi molto decisi: spinge la sorella che ha aperto la porta e mentre pone le domande sulla presenza della madre il suo sguardo va in molte direzioni, come si trattasse di un investigatore. Accertata la presenza della bambina, il controllo si sposta sul dolore di Maggie e diventa puro contenimento, prima emotivo - con l'elencazione delle "garanzie" che comunque la madre avrà anche dopo l'allontanamento - poi decisamente fisico, per limitare la rabbia e il dolore della donna. Questo compito sarà poi affidato agli agenti che lo accompagnano, che a loro volta, dopo aver preso la bimba dalle mani di una giovane conoscente di Maggie, la consegnano all'assistente sociale. E' interessante notare che tale azione si compie come se fosse uno schema di rugby, con l'agente che passa la bimba nelle mani dell'operatore e blocca poi fisicamente la reazione degli "avversari". In questo senso, l'assistente sociale si è trasformato nel finalizzatore dell'azione - colui che dovrebbe correre verso la meta, tanto per mantenere il paragone sportivo - mentre all'inizio della sequenza poteva apparire come un semplice intermediario, che deve operare sulla base di un'ispirazione esterna, ovvero il mandato del tribunale.

E' interessante notare che questa trasformazione di ruolo, da esecutore a "rapitore" sia determinata soprattutto dallo sviluppo drammatico della sequenza e non dalla tipologia dell'azione in sé. Ancora una volta, il confronto diretto con la complessità del reale sembra trasformare in modo negativo l'operatività professionale. E, con essa, l'immagine che appare in prima istanza dell'assistente sociale, in cui probabilmente pochi riconosceranno un professionista che, a prescindere dall'emotività dei personaggi con cui si confronta, sta svolgendo una delle mansioni previste nel suo mestiere.

Che cosa dice

In una sequenza molto drammatica e concitata, soprattutto nella parte finale, il dialogo svolge un ruolo fondamentale in particolare nella prima parte. Le domande reiterate poste dall'assistente sociale per verificare l'identità di Maggie e per accertarsi che sia effettivamente lei la madre della bimba da allontanare, rendono in primis un'immagine da investigatore o da poliziotto più che da operatore sociale.

Una volta trovata la bambina, la parte più poliziesca viene effettivamente assunta dagli agenti in divisa che lo accompagnano, mentre l'assistente sociale inizia a declinare la sequela delle precisazioni e delle rassicurazioni di fronte al dolore e alla rabbia montante della madre. Più che di un dialogo si tratta di una comunicazione parallela che non sembra attivare grandi punti di contatto tra i due interlocutori.

L'assistente sociale opera principalmente su due livelli dialogici, che esplicano atteggiamenti ben precisi, anche in riferimento al ruolo più generale dei servizi sociali.

In primo luogo, molte battute esplicano la necessità dell'allontanamento, che esclude ogni ipotetica arbitrarietà personale: "Abbiamo un mandato del tribunale per sottrarre la bambina alla sua potestà" e soprattutto la frase che viene reiterata più volte, come sigillo che non prevede alcuna possibile alternativa: "Devo portare via la bambina con me". Queste battute che possono apparire come segno di pura deresponsabilizzazione - e probabilmente concorrono a stratificare l'immagine negativa dell'assistente sociale agli occhi di molti spettatori - in realtà esplicano bene la posizione mediana in cui si trova l'operatore, che deve fare eseguire una decisione presa altrove (anche se il ruolo dei servizi sociali nella determinazione di certe decisioni è comunque importante) e non sembra avere margini di trattativa con chi si trova di fronte.

Proprio in riferimento alla tutela giuridica e all'attenzione umana verso l'utenza, pur in occasione di un'azione delicata qual è l'allontanamento, una serie di dichiarazioni sembrano certificare il rispetto di procedure di garanzia nei confronti della madre: "è solo un'ordinanza provvisoria"; "può presentare ricorso dopo 72 ore"; "ci sarà una riunione in cui si discuterà il suo caso"; "lì potremo affrontare la questione, lì potrai parlare e spiegarci tutto"; "comunque potrà vedere sua figlia". Il problema di queste frasi, che di per sé dovrebbero apparire rassicuranti, è che all'interno della sequenza sono praticamente soverchiate dai singhiozzi e dai gesti disperati di Maggie, al punto da risultare quasi incomprensibili. Va pure considerato che il tono dell'assistente sociale tende a scemare progressivamente nella ripetizione delle varie formule, sempre meno convinta. Quasi ad attestare una consapevolezza professionale oltre che personale sulla ritualità procedurale che prevede anche queste frasi, che pure non sembrano avere grande valore di fronte al dolore immediato di una madre che si vede portare via la propria figlia nata da poco.

Non a caso il punto di svolta del "dialogo" sta in una frase che sintetizza i due piani analizzati finora, quando l'assistente sociale dice: "Maggie non posso decidere io, lo capisci? Smettila, devo prendere la bambina: non c'è altra soluzione". Di fronte a questa perentorietà, alla negazione di ogni possibile alternativa, Maggie cambia linguaggio e alle parole sostituisce i gesti rabbiosi, i pugni, le urla, prima di essere bloccata dagli agenti.

Complessivamente quindi, dalle parole dell'assistente sociale emerge una mediazione formale, che si trasforma però ben presto nella negazione di ogni possibile dialettica. Non a caso, una domanda posta da Maggie all'inizio della sequenza resta drammaticamente senza risposta: "Che cosa ho fatto di male?"

Certo, siamo all'interno di una scena drammatica di un film a tesi, che amplifica un caso eccezionale: ma in questo momento lo spettatore fa realmente fatica a spiegare l'azione dei servizi, conoscendo Maggie, nella finzione narrativa, un po' meglio di quanto sembrano conoscerla gli assistenti sociali che l'hanno incrociata finora.

Dov'è

Tutta l'azione si svolge in casa dell'utente. Al di là delle connotazioni ambientali e scenografiche, che in questo caso non riguardano direttamente l'assistente sociale, può essere qui più utile riflettere sul rapporto tra questi e l'ambiente in cui si trova nelle varie fasi della sequenza, non dimenticando che tutto il film è costruito sulla centralità della figura di Maggie, per cui anche questo frammento tende a riflettere sentimenti più vicini alla protagonista.

In prima istanza, quando ancora è sulla soglia e cerca di entrare a forza, l'assistente sociale appare come una figura invadente, che vuole occupare uno spazio non ritenuto di sua pertinenza dagli altri personaggi. Una volta entrato in casa, si trasforma rapidamente in un intruso che da estraneo fa cose non piacevoli in casa d'altri, bloccando Maggie e cercando di convincerla di qualcosa che lei non può condividere. Infine, quando esce di casa e si allontana non appena una guardia gli consegna la bambina, diventa una sorta di ladro, che deve fuggire al più presto con il bottino.

Pur in modo schematico, le tre fasi sembrano esplicare in modo critico il rapporto tra due spazi simbolici, prima ancora che fisici. Da un lato l'interno, luogo della famiglia che Maggie sta tentando di costruire e dei sentimenti materni della protagonista, pur problematici e talvolta contraddittori. Oltre questo spazio c'è l'esterno, luogo della minaccia e dell'incomprensione, che poche sequenze prima aveva visto l'alleanza tra la vicina odiosa e il giovane operatore dei servizi o che, più in generale, vede gli agenti dell'immigrazione dare la caccia a Jorge, esule che non ha ancora il permesso di soggiorno. Per Loach non ci sono dubbi: l'assistente sociale di questa sequenza è un ulteriore rappresentante di un sistema esterno che viola sistematicamente lo spazio personale e affettivo, utilizzando procedure basate sull'autorità e sulla forza.

I gesti chiave

Pur nella rapidità della sequenza e nella concitazione degli eventi che vi si susseguono, alcuni gesti dell'assistente sociale spiccano per la loro emblematicità: gli sguardi indagatori dell'inizio e la presa con cui blocca Maggie mentre tenta di spiegarle il senso del suo intervento.

Il modo in cui l'operatore continua a lanciare gli sguardi all'interno della stanza - senza fissare la sorella di Maggie che ha aperto la porta, ma anzi tentando di spingerla via per liberarsi dalla sua presenza - denotano una profonda decisione operativa e la convinzione, per altro confermata dagli eventi successivi, che la versione raccontata dagli utenti sia falsa. Tale atteggiamento appare dunque pienamente giustificato e necessario se si ragiona nell'ottica dell'efficacia del servizio. Ma all'interno di un film in cui la protagonista è una donna che ha già perso quattro figli per una precedente decisione dei servizi e che ora sta cercando di ricostruire una famiglia, gli stessi sguardi assumono una valenza indagatoria che mette a disagio lo spettatore e caratterizza in senso invasivo l'assistente sociale.

Anche la modalità con cui questi trattiene Maggie mentre da un lato le garantisce i suoi diritti per spiegare le proprie ragioni di fronte ai responsabili del servizio e ai giudici e dall'altro notifica la necessità immediata di portare via sua figlia, non appare tanto un modo per stare vicino alla donna, quanto un tentativo di limitarne i movimenti e le reazioni, in senso sia fisico che emotivo. Non a caso, quando la situazione degenera e Maggie esplode fisicamente, alla stretta dell'assistente sociale si sostituisce quella dei poliziotti. Un corto circuito professionale che agli occhi di Loach non sembra affatto casuale, come conferma anche il successivo schema in cui un esponente della forza pubblica "passa" la bambina appena prelevata dalla casa nelle mani dell'assistente sociale.

Chi ne parla e come

La riconoscibilità dell'assistente sociale di questa sequenza non è riferita alla sua specificità visiva o narrativa, ma all'assimilazione che ormai lo spettatore tende a fare con tutti i personaggi visti in precedenza che si recano regolarmente a casa di Maggie per controllare che la sua bimba non soffra. In questo senso, l'assistente sociale non ha identità, ma è automaticamente visto come figura del controllo, da cui viene spontaneo difendersi o che è preferibile non dover mai incontrare, per evitare sanzioni e problemi ulteriori.

A fronte di questo imprinting tendenzioso, che riflette però ancora una volta la centralità di Maggie in tutto il film, i servizi che si intravedono nelle parole dell'assistente sociale appaiono in tutt'altro modo. Pur nel pieno di un drammatico allontanamento famigliare, l'operatore continua a snocciolare tutte le garanzie che ha Maggie, le possibilità di poter esprimere il suo parere, di essere ascoltata e di poter riavere sua figlia. La retorica narrativa della sequenza ha qui uno dei suoi fulcri: mentre le parole evocano servizi sociali attenti e democratici, aperti al confronto e cauti nelle valutazioni, i gesti che un esponente degli stessi sta coordinando in quel momento mostrano invadenza e rigidità, durezza e controllo fisico.

Da che parte sta

La scelta di campo della regia è chiara lungo tutto il film e anche la sequenza in analisi non fa eccezione: Loach si schiera apertamente dalla parte di Maggie, cogliendone risorse e contraddizioni, ma sottolineando sempre la sua profonda carica umana.

In questo caso è emblematico notare come subito dopo l'irruzione, nel contatto fisico che si verifica tra l'assistente sociale e la donna, la regia scelga di tagliare regolarmente la testa dell'operatore, che è più alto e resta così fuori campo, concentrandosi completamente su Maggie. Anche le inquadrature reiterate sulla sorella e sull'amica - in particolare sui loro sguardi ora increduli e addolorati, ora rabbiosi, quando si capisce che l'assistente sociale sta per procedere all'allontanamento - confermano la maggiore attenzione verso i sentimenti dei protagonisti e la minore complicità verso chi sta attuando la decisione del tribunale.

In questo senso l'assistente sociale, pur non avendo la divisa, appare in sintonia con il gruppo della forza pubblica, caratterizzato da dominanti di omogeneità: la prevalenza maschile (anche nello stile adottato dalle donne della forza pubblica) la ricorrenza delle divise, l'uso della forza fisica in chiave di contenimento e ordine. Di fronte a questo gruppo in cui l'assistente sociale appare il leader, sia in entrata che in uscita di sequenza, abbiamo l'insieme al femminile, che non a caso richiama lo spazio della maternità, che risulta più eterogeneo per età, tipologia etnica e atteggiamenti e usa la rabbia fisica per esprimere il proprio dolore, ma non può opporsi a una decisione già presa altrove.

Sul posizionamento fisico e simbolico dell'assistente sociale è emblematica l'inquadratura che funge da crinale tra la prima e la seconda parte della sequenza: dopo aver tentato di rassicurare Maggie l'assistente fa capire che non ci sono alternative e che andrà via con la bambina. A questo punto la madre esplode e inizia a percuoterlo, ma dal fuori campo sinistro irrompono subito in scena i poliziotti che la bloccano. Maggie si ritrova così in mezzo, rinchiusa non solo in senso fisico, ma anche psicologico, da una sorta di tenaglia formata da un lato dalla polizia e dall'altro dai servizi sociali.

Ipotesi di lettura

Il film di Loach è tra i più emblematici in riferimento all'immaginario che vede gli Assistenti sociali come ladri di bambini, sposando completamente la causa della protagonista.

La negatività di sguardo su tutti gli Assistenti sociali che vi compaiono è significativamente accompagnata da una scarsa definizione di questi personaggi. Anche l'operatore di questa sequenza non è particolarmente caratterizzato in senso fisico e visivo: ciò appare funzionale sia a renderlo estraneo anche allo spettatore, sia a sottolinearne il suo ruolo strumentale, che non prevede autonomia ma si pone sul piano meramente esecutivo. In questo senso l'assenza di denominazione e la completa estraneità del personaggio anche in riferimento al sapere dello spettatore - soprattutto se confrontato con la ricchezza di sentimenti, anche contrastanti, legati alla figura di Maggie - ne fanno un puro esecutore, che aggiorna la funzione di controllo dei suoi colleghi visti in precedenza e si pone come attuatore di una decisione presa altrove, che non contempla minimamente, almeno in questa fase, alcuna dialettica con la donna, che qui è recepita, agli occhi dei servizi perlomeno, solo come potenziale ostacolo alla riuscita dell'operazione di allontanamento della bambina, vera "utente" dell'operazione.

In questo senso tutte le fasi dell'allontanamento famigliare qui mostrato attestano una raffigurazione del personaggio completamente chiuso nel suo ruolo, piuttosto insensibile di fronte al dolore della protagonista e teso a concretizzare due funzioni ben precise: il controllo e il contenimento.

Più che un operatore sociale sembra un investigatore o un poliziotto, con domande reiterate e uno stile dialogico che non prevede una reale dialettica con l'utente. Anche le frasi che in teoria dovrebbero suonare rassicuranti - in cui vengono elencati di diritti di Maggie e la temporaneità del provvedimento, che non necessariamente sarà ratificato in seguito - non sembrano convincere neanche colui che le sta pronunciando: il suo tono di voce sempre più basso, sovrastato dai singhiozzi della donna attesta la consapevolezza professionale oltre che personale sulla ritualità procedurale che prevede anche queste frasi, che pure non sembrano avere grande valore di fronte al dolore immediato di una madre che si vede portare via la propria figlia nata da poco.

In quest'ottica l'Assistente sociale appare qui come una figura che non ha reale autonomia, ma deve eseguire decisioni prese altrove: il suo ruolo sembra puramente esecutivo, ennesimo rappresentante di un sistema esterno che viola sistematicamente lo spazio personale e affettivo, utilizzando procedure basate sull'autorità e sulla forza. Non a caso, quando la situazione degenera e Maggie esplode fisicamente, alla stretta dell'Assistente sociale si sostituisce quella dei poliziotti, in un corto circuito professionale che agli occhi di Loach non sembra affatto casuale: l'operatore, pur non avendo la divisa, appare in sintonia con il gruppo della forza pubblica, caratterizzato da dominanti di omogeneità, quali la prevalenza maschile (anche nello stile adottato dalle donne della forza pubblica), la ricorrenza delle divise, l'uso della forza fisica in chiave di contenimento e ordine.

Dalla sequenza emerge quindi un'Assistente sociale senza identità personale, che è automaticamente visto come figura del controllo, da cui viene spontaneo difendersi o che è preferibile non dover mai incontrare, per evitare sanzioni e problemi ulteriori. Forse non è causale che a quattro anni di distanza, in My Name is Joe (1998), Loach abbia sentito il bisogno di offrire un ritratto di Assistente sociale meno duro, facendole la protagonista del film: anche in questo caso, va però notato che il calore del personaggio è più legato alla sua dimensione personale che non a quella professionale.

Tornando a Labybird, a fronte dell'imprinting tendenzioso e completamente negativo sull'Assistente sociale, che riflette comunque la centralità del personaggio di Maggie e del suo punto di vista in tutto il film, i servizi che si intravedono nelle parole dell'Assistente sociale appaiono in tutt'altro modo. Pur nel pieno di un drammatico allontanamento famigliare, l'operatore continua a snocciolare tutte le garanzie che ha Maggie, le possibilità di poter esprimere il suo parere, di essere ascoltata e di poter riavere sua figlia. La retorica narrativa della sequenza ha qui uno dei suoi fulcri: mentre le parole evocano servizi sociali attenti e democratici, aperti al confronto e cauti nelle valutazioni, i gesti che un esponente degli stessi sta coordinando in quel momento mostrano invadenza e rigidità, durezza e controllo fisico.

Resta sul campo, per l'ennesima volta nelle rappresentazioni filmiche, una discrasia di fondo: la teoria dei servizi e la prassi delle azioni esplicate dagli Assistenti sociali non sembrano avere mai una grande continuità e coerenza. Sarà solo un problema di rappresentazioni stereotipate?

Rinvii

Racconti e rappresentazioni

Confronta le azioni svolte nella sequenza con le parole espresse nella trasmissione di Enzo Biagi

Confronta il modo in cui viene messo in scena l'operato degli assistenti sociali nel film e il modo in cui esso è rappresentato in alcuni articoli giornalistici

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Coni d'ombra

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