Cinema: L'assistente sociale tutta pepe e tutta sale

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L'assistente sociale tutta pepe e tutta sale di Nando Cicero, Italia 1981, 91', con Nadia Cassini, Renzo Montagnani, Irene Papas

Scheda informativa

L'assistente sociale tutta pepe e tutta sale

di Nando Cicero, Italia 1981, 91'

Con Nadia Cassini, Renzo Montagnani, Irene Papas

Nadia, giovane ragazza di origini americane, si è trasferita in Italia per fare l'assistente sociale, che le in intende più come una missione per fare del bene a chi è più sfortunato che non come un mestiere con regole ben precise e strategie d'azione concordate, come spesso le fa notare la sua diretta superiore. Nadia, che sogna spesso di diventare una grande ballerina di musical, cerca di darsi anima e corpo agli abitanti dell'estrema periferia di Roma, in cui i bambini non vanno a scuola, i genitori sono spesso disoccupati e fioriscono varie attività illegali. Tra un rimprovero e un consiglio, Nadia si infatua del giovane Bel ami, che non disdegna la bella presenza della nuova assistente sociale, completamente diversa da tutte le precedenti. Ma in un momento di effusioni più spinte i due vengono scoperti dalla superiore della ragazza, che la licenzia in tronco, disapprovando i suoi metodi. Amareggiata, Nadia sembra arrendersi al fallimento, ma una misteriosa signora, che pare giungere da una dimensione fantastica, promette a tutti che la loro vita cambierà. Dopo varie peripezie rocambolesche, il gruppo di truffatori e Nadia riusciranno a mettere le mani su una preziosa reliquia ecclesiale e a realizzare ciò che desideravano: Nadia sposerà Bel ami e diventerà una ballerina di successo.

La messa in scena

La cornice

La sequenza analizzata giunge all'inizio del film: lo spettatore ha appena assistito a un numero di danza in discoteca della protagonista, poi rivelatosi un sogno, e alla doccia della suddetta, in cui viene generosamente mostrato il fondoschiena, "punto di forza" dell'attrice Nadia Cassini che interpreta l'assistente sociale cui si riferisce il titolo. E' in questa sequenza, la prima con dei dialoghi, che viene esplicitato il suo mestiere, da parte della superiore che irrompe nella stanza. Subito dopo questo frammento partono i titoli di testa del film, in cui la protagonista si reca al lavoro in bicicletta, mostrando generosamente le gambe e scatenando l'interesse dei passanti e degli automobilisti di sesso maschile. Mentre a grandi lettere appare il titolo con l'ulteriore identificazione del suo mestiere, condito però da "tutto pepe", le immagini della città comunicano allo spettatore che dal centro monumentale ci si sposta verso la periferia, tra le baracche e i campi, per far capire che il suo incarico si svolge in una zona di frontiera, in un ambiente problematico dal punto di vista sociale e umano. Nel seguito del film, si vedranno diverse sequenze in cui la protagonista cerca di espletare le proprie mansioni direttamente sul territorio, con alterne fortune. Verso metà pellicola riappare la superiore, che la coglie mentre si scambia effusioni con Bel ami, che in teoria dovrebbe essere un utente, ma nei fatti si rivela l'obiettivo sentimentale di Nadia. E' questa l'unica altra sequenza in cui riappare l'altra assistente sociale, che in questo frangente notifica alla protagonista il licenziamento. Da questo momento in poi non ci sarà quindi più nessuna assistente sociale, poiché i nuovi panni del personaggio - anche in senso letterale, visto che indossa abiti molto più sportivi e colorati che in precedenza - la vedono agire come amica e complice del gruppo di borgatari, con l'obiettivo di raggiungere il suo sogno: diventare una ballerina professionista.

Come appare

Le due assistenti sociali della sequenza appaiono come tipi femminili agli antipodi: molto disinibita e sciolta la protagonista, molto rigida e controllata la sua superiore. E' interessante notare, pur nella superficialità di un film di questo genere, l'attribuzione di valore che viene data alla "divisa" ritenuta tipica per la professione: tailleur grigiastro con gonna al ginocchio, camicia bianca abbottonatissima, laccetto che chiude il collo, capelli raccolti. Proprio la fase della vestizione di Nadia, che avviene dietro un pudico paravento - dopo che nella scena precedente avevamo assistito integralmente alla sua doccia, così come stava facendo un guardone dalla finestra - sembra simboleggiare la trasformazione dall'intensità degli aspetti più personali, quali i sogni, la sensualità del corpo, l'immediatezza, alla freddezza degli aspetti professionali, ben resi proprio dal rigore del vestito indossato. In questo senso il tailleur dovrebbe omologare la protagonista all'assistente sociale più esperta, negando ogni traccia di specificità personale per omologarsi invece alle tipologie di un ruolo più freddo e distaccato, che si intona perfettamente con l'altro oggetto simbolico del mestiere: la cartellina con i dossier sui casi. La trasformazione non è tuttavia perfetta: il vestito di Nadia tende al blu e ha una tonalità più chiara di quello della collega, che è più scuro e grigio. Così come il suo modo di parlare resta più dolce, se confrontato con lo stile più militaresco dell'altro personaggio, la cui balbuzie - qui utilizzata per ridicolizzare il suo stile altero - viene sottolineata e irrisa nel saluto che chiude la sequenza. Ai nostri fini, la prima apparizione di questi due tipi sembra quindi emblematica rispetto alla caratterizzazione più stereotipata della professione: una vera assistente sociale deve apparire impersonale e poco affascinante, rigida e un po' acida, quasi una sintesi tra un'anziana istitutrice e una ausiliaria militare.

Che cosa fa

La differenza tra i due tipi di assistenti sociali è ben resa dai gesti che compiono, non solo a livello fisico, ma anche in riferimento al ruolo rivestito.

Nadia non appare ancora perfettamente integrata nelle logiche del servizio sociale, che il film sembra intendere come pura operazione di controllo e di efficienza in relazione alle questioni di prima necessità, quali l'assenza di lavoro, la dispersione scolastica e le precarie condizioni abitative.

La sua idea di servizio sociale come vocazione a fare del bene in senso generico e come occasione per regalare conforto e buoni sentimenti la connota come personaggio un po' ingenuo, ma con una forte carica di calore umano. In questo senso, i suoi gesti esprimono entrambi gli aspetti: si riveste praticamente sotto gli occhi di un intruso, ha movenze molto più fluide e immediate rispetto all'altro personaggio, scarta molti vestiti colorati prima di trovare la sua "divisa" d'ordinanza, di cui si parla nel paragrafo Come appare.

Al contrario l'assistente sociale più professionale, sempre secondo lo schema del film, è molto rigida e fredda: la sua mansione sembra essere quella di controllare la recluta e di farle la predica quotidiana, con gesti secchi e misurati che in realtà affidano alle parole e al tono di voce il senso più profondo del messaggio, che esprime un misto di risentimento e di invidia per la collega più giovane.

A margine di questo confronto, è interessante notare che Nadia appare comunque meno strutturata, anche considerando la gestione del tempo. Infatti nel momento in cui la superiore giunge a casa sua già perfettamente vestita e pronta ad entrare in servizio, la protagonista si sta ancora attardando nella cura personale. Chiaramente la strategia del film è quella di offrire allo spettatore le grazie della Cassini, ma ci piace, in questa sede, cogliervi un inconsapevole riflessione sulla minore professionalità del personaggio, che non a caso, verso la metà del film, si renderà conto di non essere capace a fare l'assistente sociale. Ancora una volta torna il solito dilemma di molti film, tra stereotipia e caratterizzazione narrativa: l'assistente più professionale è sempre quella meno umana e meno affascinante?

Che cosa dice

Il dialogo tra le assistenti sociali si può dividere in tre parti: le considerazioni personali della collega di grado superiore, lo scambio di battute sulle metodologie operative e la sintesi finale sugli obiettivi del servizio sociale.

Dopo un esordio tra il benpensante e il moralistico, in cui si lamenta per la nudità ostentata e si scandalizza per l'ingenuità mostrata nel farsi vedere da un intruso alla finestra, l'assistente sociale più ligia alle regole esprime tutto il suo stupore per la scelta della protagonista, associando direttamente alla sua bellezza la possibilità di fare una vita dorata e soddisfacente, sicuramente migliore di quella di un'assistente sociale: "una bella ragazza come lei potrebbe trovarsi un bel marito ricco, avere tanti bei bambini, una casa con piscina". Il suo stupore, forse anche misto a un po' di invidia e livore, è ben espresso da una battuta: "potrebbe godersi veramente la vita; ma perché si è fissata di venire in Italia a fare l'assistente sociale?". Pur considerando la semplicità della sceneggiatura e lo stile spesso farsesco del film in questione, è significativo il sottinteso di tale battuta: fare l'assistente sociale appare un mestiere non troppo affascinante e un po' da "fissati", in cui si ritrovano donne che non possono o non sanno godersi veramente la vita e che, tendenzialmente, sono anche un po' racchie.

A questo stereotipo marcatamente negativo ne subentra uno di segno opposto, che attraverso le parole di Nadia dipingono un'idea della professione giocata esclusivamente sullo spirito altruistico, il volontarismo e i buoni sentimenti: "per me è una vocazione, io sento di volere aiutare il mio prossimo". Più che un mestiere , fare l'assistente sociale appare una missione, cui si è chiamati per vocazione e che prevede innanzitutto la capacità di rinunciare alla propria dimensione per votarsi completamente agli altri. Pur nell'esplicito doppio senso del termine, per Nadia una buona assistente sociale dev'essere capace di "spogliarsi" del suo egoismo e dei suoi interessi. In questo senso è notevole la replica dell'acida superiore, che se non altro ha il merito di riportare il dialogo a una dimensione più pragmatica: "si spogli meno e cerchi di fare meglio".

La chiusa del dialogo, tutta affidata al personaggio meno affascinante, rende bene altri aspetti che vengono associati al servizio sociale: il controllo del territorio e la capacità di essere efficaci nel risolvere i problemi più evidenti. Fare andare i bambini a scuola, trovare un lavoro agli adulti, evitare situazioni di promiscuità: il tutto viene visto come opera di reinserimento di "quella povera gente" nella società, secondo parametri di efficienza che possono essere in qualche modo misurabili a livello quantitativo prima ancora che qualitativo, poiché la superiore chiude il dialogo minacciando la protagonista di licenziamento se non dimostrerà di raggiungere certi risultati.

E la minaccia di trovare una collega più capace rende bene la diffusione, a prescindere dalla consapevolezza insita in un film di questo tipo, dell'idea per cui la riuscita del lavoro sociale possa essere quantificata in modo immediatamente visibile e verificabile, facendo scomparire i problemi più evidenti e redigendo rapporti e verbali finalmente positivi. E tutto ciò che non appare a prima vista o resta in ombra?

Dov'è

La sequenza si svolge a casa della protagonista. La dimensione domestica appare lo sfondo adeguato per far risaltare lo stile disinibito e informale della protagonista. Nelle scene immediatamente precedenti lo spettatore aveva già conosciuto la sua camera da letto e il bagno, per cui si è ormai stabilita una certa intimità con il personaggio. Tale immediatezza è ulteriormente acuita dall'assenza di ogni attenzione rispetto allo sguardo altrui: la scenetta con il guardone che si bea di fronte alle nudità della protagonista, al di là delle ovvie esigenze semi-boccaccesche di un film di questo genere, appare qui emblematica rispetto a un personaggio che tende a offrirsi senza remore agli sguardi altrui, che quasi non si rende conto della propria immediatezza, al punto da apparire anche un po' ingenua, come testimoniano i dialoghi analizzati nel paragrafo Cosa dice.

Il cambio di registro avviene anche in questo caso con l'arrivo della collega più esperta, che la rimprovera immediatamente. In questo senso, la scena successiva in cui Nadia si cambia dietro a un paravento è paradossale. In teoria dovrebbe essere questa la situazione canonica, per cui ci si veste al riparo da sguardi estranei. Considerando però che nelle sequenze precedenti lo spettatore ha già guardato a lungo le nudità della protagonista, l'impossibilità di continuare a farlo assume una valenza innaturale, causata dall'irruzione dell'altra assistente sociale, che viene quindi immediatamente associata al divieto e alla restaurazione della norma. Non a caso Nadia uscirà dallo spogliatoio trasformata e omologata, con il suo tailleur simile a quello dell'altro personaggio. Ma durante la vestizione un elemento visivo e spaziale rende comunque la differenza tra i due tipi: il gran numero di indumenti colorati che vengono gettati in aria, alla ricerca dei vestiti giusti, quasi a testimoniare la ricchezza di sentimenti e lo stile molto vivace del personaggio, chiaramente in opposizione alla fissità, anche fisica, dell'altra assistente sociale.

I gesti chiave

La sequenza non mostra molti eventi e nella sua brevità sembra affidare al dialogo il compito di veicolare i principali significati. Tuttavia, alcuni gesti appaiono emblematici per differenziare lo stile della protagonista dall'altra assistente sociale. A parte la sua disinvoltura, per cui si mostra seminuda vicino a una finestra che non solo è senza tende, ma è occupata da un intruso che la sta osservando, Nadia compie i gesti pi significativi quando paradossalmente è coperta agli occhi dello spettatore, ovvero mentre si sta cambiando dietro a un paravento. Prima di trovare gli abiti giusti - che non vengono mostrati per non rovinare l'effetto sorpresa di ritrovarla con una mise molto simile a quella della collega - tocca e scarta diversi indumenti del suo guardaroba, tutti caratterizzati dalla leggerezza e da colori molto accesi. Proprio in questo frangente pronuncia le frasi che esplicano la sua visione del lavoro di assistente sociale come vocazione e missione. In questo senso, la fase della vestizione, da sempre momento topico nelle narrazioni allegoriche, assume la valenza di passaggio dallo stile più personale e istintivo a quello più professionale e asettico. Non a caso, il risultato di questo processo è la ridefinizone fisica del personaggio, perlomeno a livello di abbigliamento: dalla nudità iniziale al tailleur castigato, omologo a quello della sua superiore, seppure con alcune differenze significative, dalla tonalità più chiara al fiocchetto sul collo in luogo del laccetto più castigato. Coerentemente, nella sequenza dei titoli di testa immediatamente successiva, il tailleur si trasformerà in una vertiginosa mini, con la protagonista che si reca al lavoro in bicicletta: evidente simbolo della resistenza ad accettare i panni stretti, letteralmente, dell'assistente sociale canonica, ovviamente secondo la stereotipia assunta dal film.

Chi ne parla e come

L'identificazione dell'assistente sociale è differente a seconda dei due personaggi. Nel caso di Nadia presumiamo che sia lei la protagonista assoluta del film, attivando un processo di identificazione non tanto con il ruolo professionale in sé quanto con le spezie evocate dal titolo, il pepe e il sale. Nel caso dell'altro personaggio è invece il dialogo che esplicita il suo ruolo, sia in riferimento alla professione che al grado gerarchico superiore a quello della protagonista.

Nel corso del dialogo, entrambi i personaggi parlano del ruolo dell'assistente sociale, ma con accenti completamente differenti: più legato al controllo del territorio e all'efficacia operativa nelle parole della superiore, più associato alla vocazione personale e al senso di solidarismo diffuso in quelle di Nadia.

Entrambe le evenienze sembrano mirate per creare due opposte tipologie di caratterizzazione: da un lato ci si confronta con un personaggio femminile che ambisce ad essere una buona assistente sociale, ma è innanzitutto un corpo desiderabile e ha uno stile molto aperto e disinvolto, apparentemente senza pregiudizi e ricco di buoni sentimenti. Di fronte, letteralmente in molte inquadrature, si propone invece un altro tipo di personaggio che è riconoscibile immediatamente come assistente sociale proprio per il suo stile freddo e distaccato, un po' frustrato e rancoroso: non a caso per lei funziona solo l'attribuzione professionale, mentre non ha nome, né un corpo riconoscibile, almeno agli occhi dello spettatore che la vede completamente differente dalla protagonista.

In riferimento a questa distinzione tra le due tipologie di operatrice, è emblematica una battuta pronunciata successivamente nel film, quando Bel ami si intrattiene sul letto con Nadia in modo molto affettuoso e viene interrotto dall'irruzione in casa di un amico. Questi si giustifica ricordando che aveva avuto precise istruzioni: irrompere in casa non appena entra quella fare la predica. Ma Bel ami precisa: "ma mica questa è; era quella del mese scorso, quella brutta". In un universo fortemente stereotipato e piuttosto maschilista, l'assistente sociale è garanzia di predicozzo e di scarso fascino, come si vede anche nel frammento con la Mazzamauro che apre questo percorso o l'estratto da Johnny 7, ospitato nella sezione Tv, in cui gli ambienti a forte prevalenza maschile sono ora la fabbrica, ora il carcere. L'unica eccezione che si può accettare non ha a che fare tanto con le capacità professionali ma con il fatto di essere "bona", tanto per restare nello stile del film in esame.

Da che parte sta

Non ci sono dubbi sulle strategie di coinvolgimento che il film opera nei confronti dello spettatore, che presumibilmente sta assistendo alla pellicola non tanto per appassionarsi alla storia o alla profondità dell'analisi sociologica, quanto per ammirare le grazie della starlet di turno, in questo caso Nadia Cassini. L'incipit del film conferma tutto ciò, con un numero di danza nella prima sequenza e con la doccia integralmente mostrata nella seconda.

Anche nel frammento qui selezionato è evidente il tentativo di avvicinare maggiormente chi guarda alla protagonista, che è inquadrata più spesso con piani ravvicinati e che propone una visione del mondo più aperta e disponibile, pur nella sua semplicità e ingenuità. D'altronde, un'icona femminile ingenua, disponibile e aperta appare il non plus ultra per il maschio tipo rappresentato e postulato dall'intero film. In questo senso, è interessante sottolineare la denominazione del personaggio, che avverrà in seguito: la protagonista si chiama Nadia, esattamente come l'attrice che la interpreta, giusto per non lasciare ombra di dubbio sulla necessaria identificazione tra il livello di finzione e quello di realtà, per lo meno in relazione alla fascinazione fisica del personaggio.

L'altra assistente sociale appare invece chiusa e diffidente, fredda e assolutamente non desiderabile, e il desiderio è un vettore chiave in un film di questo genere, insieme all'ironia, altro elemento che manca completamente al personaggio contrapposto alla protagonista.

La contrapposizione si riflette anche nella scelta di campo che le due sembrano aver fatto rispetto all'interpretazione del mestiere, per lo meno a livello superficiale. Nadia sta senza remore dalla parte degli utenti, verso cui sente di dover offrire tutta se stessa, per poterli affrancare dalle difficoltà quotidiane. L'altro personaggio appare invece molto più interessato ala risoluzione dei casi difficili, ma in termini di gestione e controllo del territorio, con l'obiettivo di avere risultati quantificabili nei tempi prescritti, evitando ogni corto circuito tra il lato personale e quello professionale.

Si tratta di due ritratti sgrossati senza alcuna pretesa, ma proprio il ricorso a stereotipi così evidenti di tipo può essere rappresentativo dell'immaginario ricorrente sull'assistente sociale. Con un dubbio: in quale dei due personaggi è possibile riscontrare collegamenti meno superficiali tra l'immagine stereotipata e la realtà concreta?

Ipotesi di lettura

Le due Assistenti sociali della sequenza appaiono come tipi femminili agli antipodi: molto disinibita e sciolta la protagonista, molto rigida e controllata la sua superiore. Visivamente si fornisce una precisa attribuzione di valore alla "divisa" ritenuta tipica per la professione: tailleur grigiastro con gonna al ginocchio, camicia bianca abbottonata, laccetto che chiude il collo, capelli raccolti. Il tailleur dovrebbe omologare la protagonista all'Assistente sociale più esperta, negando ogni traccia di specificità personale per rispondere alle tipologie di un ruolo più freddo e distaccato, che si intona perfettamente con l'altro oggetto simbolico del mestiere: la cartellina con i dossier sui casi.

Una vera Assistente sociale deve dunque apparire impersonale e poco affascinante, rigida e un po' acida, quasi una sintesi tra un'anziana istitutrice e una ausiliaria militare.

In un universo fortemente stereotipato e piuttosto maschilista, l'Assistente sociale è quindi garanzia di predicozzo e di scarso fascino, come si vede anche nel frammento con la Mazzamauro che apre questo percorso o l'estratto da Johnny 7, ospitato nella sezione Tv, in cui gli ambienti a forte prevalenza maschile sono ora la fabbrica, ora il carcere. L'unica eccezione che si può accettare non ha a che fare tanto con le capacità professionali ma con il fatto di essere un corpo desiderabile.

Ancora una volta torna il solito dilemma di molti film, tra stereotipia e caratterizzazione narrativa: l'Assistente più professionale è sempre quella meno umana e meno affascinante?

Le simbologie visive trovano riscontro anche nei dialoghi e nello stile dei due tipi rappresentati. Nadia ha un'idea di servizio sociale come vocazione a fare del bene in senso generico e come occasione per regalare conforto e buoni sentimenti e non sembra ancora perfettamente integrata nelle logiche del servizio sociale, che il film sembra intendere come pura operazione di controllo e di efficienza in relazione alle questioni di prima necessità, quali l'assenza di lavoro, la dispersione scolastica e le precarie condizioni abitative.

Al contrario l'Assistente sociale più professionale, sempre secondo lo schema del film, è molto rigida e fredda: la sua mansione sembra essere quella di controllare la recluta e di farle la predica quotidiana, con gesti secchi e misurati che in realtà affidano alle parole e al tono di voce il senso più profondo del messaggio, che esprime un misto di risentimento e di invidia per la collega più giovane.

Pur nella sua grossolanità e probabilmente in modo inconsapevole - ma proprio per questo ancora più interessante, secondo la nostra ottica di rappresentazione sociale diffusa e condivisa in modo superficiale - il film offre comunque una riflessione sulla minore professionalità del personaggio di Nadia che, non a caso, si renderà poi conto di non essere capace a fare l'Assistente sociale.

In questo senso la tipologia professionale appare caratterizzata da alcuni capisaldi che pongono in dialettica oppositiva ciò che è effettivamente il mestiere rispetto a ciò che si presume possa essere, ovviamente sempre secondo le tipizzazioni offerte dal film di Cicero. Da un lato, fare l'Assistente sociale è una professione tipicamente femminile, abbastanza frustrante e un po' da "fissate", in cui si ritrovano donne che non possono o non sanno godersi veramente la vita e che, tendenzialmente, sono anche un po' bruttine. Per chi invece vi si avvicina, fare l'Assistente sociale appare una missione, cui si è chiamati per vocazione e che prevede innanzitutto la capacità di rinunciare alla propria dimensione per votarsi completamente agli altri.

Sempre sul piano degli stereotipi, è interessante sottolineare gli aspetti che vengono associati al servizio sociale: il controllo del territorio e la capacità di essere efficaci nel risolvere i problemi più evidenti. Fare andare i bambini a scuola, trovare un lavoro agli adulti, evitare situazioni di promiscuità: il tutto viene visto come opera di reinserimento della "povera gente" nella società, secondo parametri di efficienza che possono essere in qualche modo misurabili a livello quantitativo prima ancora che qualitativo, poiché la superiore chiude il dialogo minacciando la protagonista di licenziamento se non dimostrerà di raggiungere certi risultati.

Di nuovo, a prescindere dalla consapevolezza insita in un film di questo tipo, appare interessante registrare la diffusione dell'idea per cui la riuscita del lavoro sociale possa essere quantificata in modo immediatamente visibile e verificabile, facendo scomparire i problemi più evidenti e redigendo rapporti e verbali finalmente positivi.

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