Via Capo dell'Armi, Ostia

Cosa è successo

Alla fine del luglio 1998, in una baracca nella pineta di Ostia, a cinquecento metri da casa, viene ritrovato il corpo di un bimbo di otto anni, S.N. Si tratta di un delitto a sfondo sessuale. Inizialmente si autoincolpa un piccolo amico di 11 anni, D., che in seguito accusa il proprio padre, V. F. un pescatore di 60 anni: sarà lui, al termine dell'inchiesta ad essere accusato del delitto con il capo di imputazione di omicidio volontario. Decisiva la testimonianza di un altro figlio del pescatore C. di 35 anni, che racconterà agli inquirenti la dinamica dell'avvenimento e testimonierà contro il padre, ammettendo di avere avuto un ruolo in esso. La vicenda matura in un ambiente complesso, esterno e interno al nucleo familiare. Il piccolo S. e la famiglia di V. vivevano in un condominio occupato dagli abusivi all'interno di una zona molto degradata di Ostia, piccola cittadina vicino Roma. In quest'area (via Capo dell'Armi) in cui vi è un complesso di edifici occupato abusivamente da anni, abitano persone in forti difficoltà sociali ed economiche. Il nucleo familiare di V. F. è conosciuto dai servizi sociali della zona ed è fortemente problematico, in relazione ad alcuni comportamenti violenti e ambigui del padre. Il pescatore ha una moglie, che all'inizio fornisce un alibi al marito e poi lo ritratta, ammettendo violenze, botte e soprusi, e nove figli. Alcuni sono in istituto, altri hanno presentato in anni precedenti accuse di violenza sessuale da cui V. viene prosciolto, poiché dai riscontri medici non emerge nulla, non si individuano conferme alle denunce e quasi tutti ritrattano.

Il processo mediatico

Quello di S. N. è un caso di cronaca che, all'epoca, suscita commozione e polemiche. Dal 21 luglio 1998 fino ai primi giorni di agosto, la vicenda "tiene" le prime pagine dei principali quotidiani che seguono passo passo la cronaca degli eventi e lo snodarsi della vicenda, ma mettono in campo anche i propri commentatori più autorevoli. Si apre un ampio dibattito sul degrado urbano, sulla condizione minorile, sull'operato del Tribunale dei minori con le più diverse voci in campo. Se ne occupano diffusamente i quotidiani, fra cui Repubblica, il Messaggero, Il Corriere della Sera. Il Corriere della Sera segue attentamente il caso sia sul piano della cronaca spicciola, sia con firme importanti del giornalismo - come Gian Antonio Stella - e del mondo delle idee come Fulvio Scaparro, Isabella Bossi Fedrigotti e altri. Ricostruisce gli eventi e fa opinione. Chiama in causa numerosi soggetti, fra cui anche gli assistenti sociali. Quello di Ostia sarà espressamente intervistato nella cronaca romana nei primi giorni di agosto.

Gli articoli

Otto anni di orrori in famiglia: archiviati, di Dino Martirano, "Il Corriere della Sera", 30 luglio 1998, pag 13

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Leggi il richiamo in prima pagina

La messa in pagina

L'articolo che vediamo è collocato a pagina 13 del quotidiano, nella sezione "cronache", ma, come capita di solito quando si ha a che fare con eventi importanti o di grande interesse per l'opinione pubblica, viene "richiamato" in prima pagina. Nel "taglio basso" a sinistra delle prima pagina c'è infatti una sintesi del contenuto del testo che è collocato all'interno a pagina 13. Il titolo in prima pagina: <Gli orrori di Ostia: otto anni di denunce, tutte archiviate>. C'è un occhiello: <Il delitto di Simeone: i figli di Vincenzo F. lo accusavano di violenze, poi ritrattavano per paura>. All'interno, a pagina 13, il titolo (a sette colonne) del testo è piuttosto simile: <Otto anni di orrori in famiglia: archiviati>. E' seguito da un occhiello collocato sotto il titolo <I nove figli di Vincenzo F. denunciavano violenze di ogni tipo poi ritrattavano per paura>. Il sommario: <Un'assistente sociale scrisse del pescatore: "E' una persona rozza, ma a mio giudizio non è capace di atti simili">. L'argomento prende quasi tutta la pagina delle "cronache", l'articolo che vediamo è in sostanza in apertura della pagina (in alto c'è un piccolo pezzo che annuncia il funerale e alcune comunicazioni del parroco della Regina Pacis). Nel "richiamo" di prima pagina vi è il cuore dell'articolo contenuto poi negli interni. <I nove figli di Vincenzo F., l'uomo accusato di avere ucciso il piccolo S.N. avevano raccontato a poliziotti, carabinieri, assistenti sociali e magistrati delle violenze che erano costretti a subire. Maschi e femmine parlavano di abusi sessuali, botte, della vita impossibile. A volte venivano allontanati per un po' dalla famiglia, ma poi tornavano, costretti a ritrattare per le pressioni della madre o "traditi" dalla superficialità di chi esaminava la situazione>. L'articolo è scritto scorrendo documenti, relazioni e dichiarazioni verbalizzate del dossier sulla famiglia di V., richiama espressamente un servizio del Tg4 della sera precedente che ha messo in fila <date e carte> dei faldoni dell'archivio del Tribunale dei minori in proposito. E' un articolo di denuncia, c'è un ritmo di scrittura serrato, caratterizzato da contrapposizioni narrative che consentono di far emergere in modo netto gli elementi della denuncia che sono contenuti del pezzo e che si riscontrano immediatamente nella titolazione di prima e della pagina interna. La prima parte del "pezzo" sintetizza in questo modo la vicenda: <Il padre padrone di loro faceva quel che voleva, i figli correvano a denunciarlo ma poi interveniva la madre che quasi sempre riusciva a farli ritrattare davanti ai giudici minorili, anche a suon di botte. Così, per almeno otto anni, è andato avanti lo strazio dei nove figli del pescatore V. F. l'uomo incarcerato per l'assassinio del piccolo S.>. Parla dell'omertà della moglie e di ciò che lui faceva ai figli <continuava a tormentarli tutti, escogitando trucchi e sotterfugi…>. Poi sottolinea: <Ora che non c'è più il povero S. il bambino ucciso nella pineta di Ostia, colpevole soltanto di aver avuto come vicini di casa Vincenzo F. e suo figlio maggiore C., una dopo l'altro stanno emergendo dagli archivi del Tribunale dei minori le denunce per violenza sessuale consumate fra le mura domestiche…>. <Sono carte - dice l'autore - che pesano come un macigno. Perché di quelle urla nel silenzio, verbalizzate in passato da carabinieri e polizia fra Ostia e Fiumicino, sembra che non sia rimasta traccia alcuna alla procura della repubblica>. Sul piano narrativo questo è uno degli snodi più significativi. Qui emerge netta la contrapposizione fra le cose fin ora ricordate, le denunce dei ragazzi, (<urla nel silenzio>) e il vuoto in cui sono cadute, secondo chi scrive. E qui entrano in gioco anche gli assistenti sociali: <tutto archiviato, o tornato al mittente, con tanto di avallo degli assistenti sociali. Valga per tutti il giudizio su V. F. messo nero su bianco il 3 marzo '99 da una "operatrice di sostegno" chiamata a decodificare una denuncia per violenza sessuale presentata da una delle figlie del pescatore: "La ragazza (che allora aveva 17 anni) racconta che il padre la infastidisce, ma penso che le accuse siano false. La ragazza è inattendibile, è stata sottoposta a una visita medica, ma…">. Interviene l'autore a completare il testo della dichiarazione che, evidentemente non può essere riportato direttamente: <In altre parole, non risulta alcunché di evidente>. L'articolo procede riportando una relazione dei servizi sociali proprio rispetto alla stessa ragazza: <Si fa presente che la minore è assolutamente inaffidabile, che è scappata da casa, che spesso va in giro con il fratello noto delinquentello di Fiumicino…Gli altri fratelli negano le accuse fatte al padre e chiamano la sorella "bugiarda". Il piccolo sta molto bene e pare ben accudito>. L'autore interviene con un commento: <Già, la storia del marito incapace di torcere un capello e delle figlie bugiarde "perché volevano essere libere", l'ha tirata fuori la mamma B. dopo il delitto della pineta. l'ha ripetuta fino a quel momento in cui, venerdì notte in questura è crollata davanti all'accusa pesantissima di omicidio volontario mossa contro V.>. In questa parte dell'articolo vi è un ulteriore snodo. L'autore specifica che <non si tratta di dare la croce addosso a questo o quel magistrato della procura che in passato non chiese il giudizio per il pescatore accusato dai figli ed è forse inutile vagliare col senno di poi le relazioni dei servizi sociali, ma è pure giusto interrogarsi sui meccanismi che hanno portato all'archiviazione di almeno cinque o sei denunce per violenza sessuale>. Qui c'è la tesi di fondo: niente croci addosso, non è questo il punto, ma in sostanza, perché coloro che hanno contribuito all'archiviazione, e fra questi gli assistenti sociali, non hanno visto, non sono andati in profondità? Quali sono i meccanismi che hanno portato all'archiviazione di una serie di casi così problematici? Il testo prosegue con la ricostruzione delle denunce e dei proscioglimenti e di alcuni interventi, verbalizzati, di insegnanti e assistenti sociali. In particolare, viene riportata una dichiarazione di un assistente sociale su un'altra delle figlie del pescatore: <La ragazza non esclude che il padre possa riservare delle attenzioni anche al piccolo di soli tre anni… Naturalmente questo servizio sociale non ha gli strumenti per verificare queste affermazioni>. L'autore continua a ricostruire: <Il 13 aprile del '90, la ragazza viene ascoltata dal Tribunale per i minorenni e racconta davanti ai giudici la sua storia allucinante: "era ubriaco e approfittando che la mamma era assente prometteva di comprarmi qualcosa, di portarmi al bar, mi abbracciava, mi…Poi, quando l'ho raccontato a mia madre non mi ha creduto, mi ha picchiato con l'interesse di coprire l'uomo". E' questa una delle poche frasi riferibili del verbale>. Un'assistente sociale sottolinea che in istituto la ragazza si è ripresa, fisicamente e moralmente. <Ma alla fine, nel '92, la figlia di V. chiede e ottiene di poter tornare a casa>. Gli assistenti sociali sono citati una volta nel richiamo in prima pagina, come categoria, e quattro volte nel corpo dell'articolo negli interni. Di loro, anche qui individuati come categoria professionale, viene riportato il discorso diretto tratto da relazioni o da verbalizzazioni effettuate sui casi dei ragazzi della famiglia di V. Vengono chiamati in causa nell'esercizio del loro lavoro, con citazioni specifiche in cui commentano i casi dei figli di V e dunque utilizzano un linguaggio professionale. Il sommario dell'articolo a pagina 13 è dedicato a una valutazione che un'assistente sociale fece in passato del pescatore e che contrasta con i fatti fino ad allora accertati sulla base delle investigazioni di polizia: <Un assistente sociale scrisse del pescatore: "E' una persona rozza, ma a mio giudizio non è capace di atti simili">.

Ipotesi di lettura

Abbiamo a che fare con un articolo di denuncia, costruito con un'abbondante documentazione a disposizione, e ciò è riscontrabile fin dal titolo in prima pagina e anche alla 13. In entrambe le pagine la titolazione mette in evidenza proprio il contrasto fra le denunce dei figli e l'archiviazione. Un titolo "forte"compensato dall'occhiello, che in entrambe le pagine specifica come <i figli di Vincenzo F. lo accusavano di violenze e poi ritrattavano per paura>. Specifica cioè, e in un elemento di rilevo dell'articolo, che i figli ritrattavano per paura (uno dei fattori che contribuisce a far decadere le accuse). Il testo è nella sostanza costruito per contrapposizioni narrative, con le quali alla crudezza dei fatti come fino ad allora emersi si antepongono le parole di assistenti sociali o del servizio sociale che si ritiene, insieme ad altri soggetti, non abbiano rilevato con sufficiente attenzione la situazione di quella famiglia. Questo elemento emerge già nel "richiamo" in prima pagina, dove si dice: <I nove figli di V. F., l'uomo accusato di aver ucciso il piccolo S. N. avevano raccontato a poliziotti, carabinieri, assistenti sociali e magistrati delle violenze che erano costretti a subire. Maschi e femmine parlavano di abusi sessuali, botte, della vita impossibile. A volte venivano allontanati dalla famiglia, ma poi tornavano, costretti a ritrattare per le pressioni della madre o "traditi" dalla superficialità di chi esaminava la situazione>. Qui gli assistenti sociali, insieme ad altri a cui la situazione veniva raccontata hanno "tradito" i ragazzi, per la superficialità con cui hanno esaminato la situazione. L'articolo di pagina 13 procede affiancando la ricostruzione dei fatti con valutazioni dirette degli assistenti sociali e dei servizi sociali contenute in documenti che evidentemente l'autore possiede, poiché cita i virgolettati. Il testo ha due snodi narrativi. Il primo: <E ora che non c'è più il povero Simeone, il bambino ucciso nella pineta di Ostia, colpevole soltanto di aver avuto come vicini di casa V. e suo figlio maggiore C., una dopo l'altra stanno emergendo dagli archivi del Tribunale per i minori le denunce per violenza sessuale consumate fra le mura domestiche….>. <Sono carte e date, quelle che vengono fuori dai falconi (….) che adesso pesano come un macigno. Perché di quelle urla del silenzio, verbalizzate in passato da carabinieri e polizia tra Ostia e Fiumicino, sembra che non sia rimasta traccia alcuna alla procura della repubblica>. L'autore non usa mezze parole: sono date e carte che <pesano come un macigno>; <di quelle urla del silenzio> non è rimasta traccia alla procura della repubblica. Qui entrano in gioco gli assistenti sociali. <Tutto archiviato, con tanto di avallo degli assistenti sociali. Valga per tutti il giudizio su V. F. messo nero su bianco il 3 marzo 1989 da un'operatrice di sostegno chiamata a decodificare una denuncia per violenza sessuale presentata da una delle figlie del pescatore>. Vengono citate le parole dell'operatrice di sostegno, che valutano ciò che dice la ragazza: lei <racconta che il padre la infastidisce, ma penso che le accuse siano false. La ragazza è inattendibile, è stata sottoposta a visita medica ma…>. L'autore sintetizza concetti che evidentemente non possono essere riportati in un testo giornalistico in questo modo: <In altre parole, non risulta alcunché di evidente>. E ancora riporta il prosieguo della valutazione: <Il padre è una persona rozza, ma a mio giudizio non è capace di atti simili>. Il testo mira a costruire un'evidenza implicita, data dal contrasto fra ciò di che il pescatore ha fatto, fra le cose di cui è accusato - come emerge dalle investigazioni e dalle successive dichiarazioni della moglie oltre che dei figli -, e una valutazione data da un operatrice di sostegno sulla denuncia di una delle figlie nel 1989 che risulta non collimante con quanto invece è emerso dei comportamenti del pescatore. La strategia narrativa è fin qui serrata, stringente, c'è una chiara contrapposizione fra <le urla del silenzio> e l'archiviazione e le valutazioni, riportate direttamente con i virgolettati degli assistenti sociali. Che come, lo stesso autore evidenzia, non ritengono <risulti alcunché di evidente>. Ancora, il testo riporta una ulteriore valutazione dell'assistente sociale sul padre, persona <rozza> ma non <capace> di azioni simili. Di nuovo un contrasto netto fra i fatti così come sono emersi fino ad allora e il giudizio espresso. L'articolo procede su questa linea narrativa riportando una relazione dei servizi sociali proprio rispetto alla stessa ragazza: <Si fa presente che la minore è assolutamente inaffidabile, che è scappata da casa, che spesso va in giro con il fratello noto delinquentello di Fiumicino…Gli altri fratelli negano le accuse fatte al padre e chiamano la sorella "bugiarda". Il piccolo sta molto bene e pare ben accudito>. L'autore interviene con un commento: <Già, la storia del marito incapace di torcere un capello e delle figlie bugiarde "perché volevano essere libere", l'ha tirata fuori la mamma B. dopo il delitto della pineta. l'ha ripetuta fino a quel momento in cui, venerdì notte in questura è crollata davanti all'accusa pesantissima di omicidio volontario mossa contro V.>. Secondo chi scrive, la valutazione data dai servizi sociali non rileva alcunché, anzi, rileva che sono i fratelli a definire la sorella bugiarda, e poi il più piccolo e <pare ben accudito>. Ma la famiglia non risulta attendibile, contrappunta l'autore, evidenziando che <la storia del marito incapace di torcere un capello e delle figlie bugiarde l'ha tirata fuori la mamma> e l'ha ripetuta fino a quando non è crollata in questura. C'era un omertà familiare che non è stata riconosciuta, pare voler dire l'articolo. In questa parte del testo vi è l' ulteriore snodo. L'autore dice quello che pensa e specifica che <non si tratta di dare la croce addosso a questo o quel magistrato della procura che in passato non chiese il giudizio per il pescatore accusato dai figli ed è forse inutile vagliare col senno di poi le relazioni dei servizi sociali, ma è pure giusto interrogarsi sui meccanismi che hanno portato all'archiviazione di almeno cinque o sei denunce per violenza sessuale>. Qui c'è la tesi di fondo: niente croci addosso, non è questo il punto, ma in sostanza, perché coloro che hanno contribuito all'archiviazione, e fra questi gli assistenti sociali, non hanno visto, non sono andati in profondità? Quali sono i meccanismi che hanno portato all'archiviazione di una serie di casi così problematici? <Non si tratta di dare la croce addosso a questo o a quel magistrato della procura che in passato non chiese il giudizio> ed è inutile vagliare con il senno di poi <le relazioni dei servizi sociali>. L'autore dice chiaramente che non è questo il punto: del senno di poi sono piene le fosse. Il punto è un altro: sono <i meccanismi che hanno portato all'archiviazione>. Viene utilizzato un termine significativo, riferito anche all'operato dei servizi sociali: il meccanismo è un elemento di una catena di produzione, di decisione, che contribuisce alla medesima, gli assistenti sociali ne sono parte, come un processo produttivo che, in questo caso, secondo l'autore, non ha funzionato. Nel procedere della macchina, di cui gli assistenti sociali sono una componente, i meccanismi si sono inceppati e hanno archiviato, quando non avrebbero dovuto. Il testo prosegue con la ricostruzione delle denunce e dei proscioglimenti e di alcuni interventi, verbalizzati, di insegnanti e assistenti sociali. In particolare, viene riportata una dichiarazione di un assistente sociale su un'altra delle figlie del pescatore: <La ragazza non esclude che il padre possa riservare delle attenzioni anche al piccolo di soli tre anni… Naturalmente questo servizio sociale non ha gli strumenti per verificare queste affermazioni>. L'autore continua a ricostruire: <Il 13 aprile del '90, la ragazza viene ascoltata dal Tribunale per i minorenni e racconta davanti ai giudici la sua storia allucinante: "era ubriaco e approfittando che la mamma era assente prometteva di comprarmi qualcosa, di portarmi al bar, mi abbracciava, mi…Poi, quando l'ho raccontato a mia madre non mi ha creduto, mi ha picchiato con l'interesse di coprire l'uomo". E' questa una delle poche frasi riferibili del verbale>. Un'assistente sociale sottolinea che in istituto la ragazza si è ripresa, fisicamente e moralmente. <Ma alla fine, nel '92, la figlia di V. chiede e ottiene di poter tornare a casa>. E' un articolo di chiara denuncia, che riguarda un caso delicato e complesso sia nella dinamica, sia nei processi familiari e sociali che lo definiscono e lo caratterizzano. Gli assistenti sociali, assimilati ai giudici e a tutti gli altri soggetti che, dice l'autore, avrebbero dovuto fare più attenzione avendo sott'occhio molti elementi sospetti, sono qui visti di nuovo in termini burocratici, sono in qualche modo, in senso lato, assimilati allo stato che deve garantire attenzione e presenza ma che è distante, burocratico e spesso non si accorge, manca, è lontano. Segue dinamiche meccaniche, automatiche quando ci sono situazioni e casi in cui ciò non dovrebbe succedere. In particolare, qui gli assistenti sociali sono delineati come parte di questo meccanismo che, di fronte a una serie di elementi da valutare, hanno svolto il loro lavoro, ma non con sufficiente profondità e attenzione. Ricordiamoci che il 'richiamo' in prima pagina, parlava dei ragazzi costretti a ritrattare dalla madre o 'traditi' dalla superficialità di chi esaminava la situazione. Nei giorni precedenti, Il Corriere della Sera aveva trattato la vicenda spiegando in più occasioni, anche se senza citazioni dirette, interviste o virgolettati, i motivi per cui erano state disposte le archiviazioni. Ma in questa pagina non è messo in luce, non si vede il punto di vista "altro" di chi le ha disposte o a contribuito a che fossero disposte (giudici, assistenti sociali). All'inizio di agosto, nelle pagine del dorso romano del Corriere sarà intervistato l'assistente sociale di Ostia, intervista che trattiamo nel segmento a seguire.

Rinvii

Meccanismi, organizzazioni. Che mancano o che galleggiano sulla soglia di sopravvivenza. Confronta questa descrizione/narrazione con la messa in scena de "Il sapore dell'acqua". Fai un raffronto fra le due rappresentazioni

Meccanismi, istituzioni. Che sono troppo presenti o troppo assenti. Metti a confronto la rappresentazione che questo testo fornisce sull'aspetto del 'meccanismo' e sulla distanza del Servizio sociale con quella data da Natalia Ginzburg nel brano tratto dal libro "Serena Cruz o la vera giustizia"

Dopo la morte di Simeone mi sento inutile: conoscevo il caso ma da solo che potevo fare?, di Alessandro Fulloni, "Il Corriere della Sera", 9 agosto 1998, pag. 33

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La messa in pagina

L'articolo è collocato nel dorso romano del Corriere della Sera, a pag. 33. E' posizionato nella parte alta della pagina, sotto due fotografie, una della baracca in cui è avvenuto il delitto, uno del pescatore accusato. Nel corpo del testo a metà fra due colonne è inserita la fotografia del piccolo assassinato. Hanno tutte e tre natura illustrativa. Più in generale è inserito all'interno di una pagina in cui l'apertura è dedicata a un caso di pedofilia. Il titolo di quell'articolo copre sei colonne e "abbraccia" anche l'articolo sul caso di S. N. che è posizionato immediatamente sotto l'occhiello del primo pezzo (pedofilia). Il testo del pezzo dedicato al caso di S.N. ha un bacchettone sopra le foto, che annuncia che tipo di articolo è: un intervista all'assistente sociale di Ostia Lido. <Delitto di Ostia: parla l'assistente sociale". Il titolo è sotto le due fotografie, su due colonne, in un corpo (dimensione) più piccolo rispetto al titolo del pezzo pedofilia: <Dopo la morte di Simeone mi sento inutile: conoscevo il caso, ma da solo che potevo fare?>. L'articolo è interamente centrato sulla voce dell'assistente sociale del Lido, le cui azioni e motivazioni vengono messe in luce, evidenziate. Così come le condizioni del locale servizio sociale, all'interno del quale M.N. sembra essere intervistato. Il linguaggio è tipicamente di cronaca. La strategia narrativa punta a mettere a fuoco le difficoltà della locale situazione degli Assistenti sociali. Nella prima parte il testo fa parlare direttamente l'assistente sociale, citato con nome e cognome, e di cui si conosce anche l'età. L'Assistente sociale non usa un linguaggio professionale o 'verboso', come direbbero alcuni, ma diretto e immediato: "Io da questo ufficio me ne voglio andare, faccio un lavoro inutile, inefficiente e inefficace: sono troppe le segnalazioni di casi drammatici alle quali so con certezza di non poter dare risposta". L'assistente, che è al centro dell'articolo, denuncia una situazione di impotenza, ripresa e descritta dall'autore nella parte che segue. "Di fronte all'emergenza, è stato dunque costretto ad arrendersi. MN. 42 anni è l'unico assistente sociale del Lido. Nella pianta organica dell'azienda sanitaria Rmd, settore servizio materno infantile, dovrebbero essere una dozzina. Ma dal 1990, tra pensionamenti, malattie, trasferimenti, se ne sono andati via tutti. E sostituirli non è arrivato mai nessuno". Quella di Ostia viene definita 'trincea' "centottantamila abitanti, il record negativo dell'abbandono scolastico condiviso con Tor Bella Monaca". Qui, M.N. è rimasto "solo ad assistere i figli dei tossicodipendenti, malati di Aids, carcerati, ma anche di genitori qualunque che cercano aiuto per crescere bambini' difficili'". Tra questi il caso di S.N. e del suo amico D., l'undicenne figlio del pescatore accusato del delitto. L'autore ricostruisce la vicenda di cronaca e poi sottolinea: "N. conosceva tutti e due i bambini". Parla di nuovo, in discorso diretto, l'assistente sociale: "Erano tra quei cinquanta minori segnalati dalle scuole per discontinuità, abbandono, questioni non legate ad handicap ma a situazioni sociali problematiche. Segnalazioni per le quali nella maggior parte dei casi si è potuto soltanto parlarne informalmente con le maestre". L'articolo procede poi a descrivere le difficoltà in cui si trovano ad agire i servizi sociali. Lo definisce "l'elenco dell'impotenza". Lo aggettiva: "impressionante". E poi lo ricostruisce: "33 ragazzi affidati dal tribunale dei minori, ma per molti non c'è stato ancora un intervento di sostegno a causa della mancanza di tempo; 10 bambini in attesa di assistenza; alcuni per cui si decisa la segnalazione al tribunale, soluzione giudicata estrema perché interventi di sostegno meno traumatici non sono possibili con le scarse risorse dell'ufficio assistenza sociale; 3 pratiche che attendono, anche da mesi, di essere definite perché i genitori non sono d'aiuto; altre 2 da completare…". Lungo cahier de doleance cui si aggiungono "ritardi, disguidi burocratici". Spiega l'assistente sociale: "Quando mi arriva il decreto di affidamento, spesso devo andare in Tribunale per aprire il fascicolo e conoscere le motivazioni necessarie per sviluppare l'aiuto. Però così si perdono giorni, settimane: il bimbo nel frattempo resta nel suo ambiente. Con pericoli, come si è visto, gravissimi". L'articolista chiede quanti drammi come quello di S. o D. si possono nascondere dietro quei "freddi" numeri. Risponde l'assistente sociale: "Per saperlo, dovrei parlare con tutti i bambini, conoscerli. Ma non ce la faccio, l'ho detto: rispondere a tutte le segnalazioni è impossibile: ad ogni caso riesco a dedicare una media di sei ore, in pratica il tempo per due colloqui e per battere a macchina una relazione". L'assistente sociale, che è al centro dell'articolo, è citato più volte e ogni volta in modo personale, specifico, con nome e cognome, addirittura età. Interviene ogni volta con il discorso diretto. Il tratto che lo connota è una dichiarata e spiegata manifestazione di impotenza. Parla in modo colloquiale, non usa terminologie professionali. E sembra collocato nel territorio in cui opera.

Ipotesi di lettura

Articolo di cronaca in cui emerge un aspetto ancora inedito per noi, rispetto all'analisi delle descrizioni/narrazioni finora viste: l'elemento dell'impotenza, la battaglia contro i grandi numeri a fronte delle poche risorse, la lotta di "trincea" che si sviluppa in una zona degradata come quella in cui si trova ad operare l'assistente sociale M.N. unico del materno infantile di zona. In fondo, anche un po' di velato titanismo. Elementi che emergono fin dal titolo che riporta direttamente una frase dell'assistente sociale intervistato: "Dopo la morte di Simeone mi sento inutile: conoscevo il caso, ma da solo che potevo fare?" In questo testo la strategia narrativa ha al centro l'assistente sociale - collocato e visto nel suo contesto di lavoro sul territorio - e mira a mettere in luce gli aspetti prima citati, sulla base dello spunto di cronaca fornito dal delitto del piccolo S., avvenuto proprio in quella zona. C'è un far parlare direttamente l'Assistente sociale, che interviene quattro volte - usando un linguaggio tutt'altro che verboso, il linguaggio della quotidianità - e tutte e quattro le volte per segnalare difficoltà. La prima: "Io da questo ufficio me ne voglio andare, faccio un lavoro inutile, inefficiente e inefficace: sono troppe le segnalazioni di casi drammatici alle quali so con certezza di non poter dare risposta". Un lavoro "inutile, inefficiente, inefficace", con continue "segnalazioni di casi drammatici alle quali ho la certezza di non poter dare risposta". Viene descritta una fatica assoluta, come svuotare il mare con un secchiello bucato sapendo che è bucato. La seconda: "Cinquanta minori segnalati dalle scuole per discontinuità, abbandono, questioni non legate ad handicap ma a situazioni sociali problematiche. Segnalazioni per le quali nella maggior parte dei casi si è potuto soltanto parlarne informalmente con le maestre". La terza: "Quando mi arriva il decreto di affidamento, spesso devo andare in Tribunale per aprire il fascicolo e conoscere le motivazioni necessarie per sviluppare l'aiuto. Però così si perdono giorni, settimane: il bimbo nel frattempo resta nel suo ambiente. Con pericoli, come si è visto, gravissimi". La quarta: all'autore che chiede quanti drammi come quello di S. o D. si possono nascondere dietro quei "freddi" numeri, l'assistente sociale risponde: "Per saperlo, dovrei parlare con tutti i bambini, conoscerli. Ma non ce la faccio, l'ho detto: rispondere a tutte le segnalazioni è impossibile: ad ogni caso riesco a dedicare una media di sei ore, in pratica il tempo per due colloqui e per battere a macchina una relazione". Dice l'assistente sociale: "non ce la faccio, rispondere a tutte le segnalazioni è impossibile". E sottolinea che riesce a dedicare a ogni caso una media di sei ore, il tempo per due colloqui e per battere a macchina una relazione. Ecco che torna, indirettamente - e dichiarato direttamente dall'assistente sociale -, l'incidenza dell'aspetto 'burocratico' su quello 'relazionale' dell'agire professionale. Qui non viene segnalato come negativo in sé: rientra in una delle funzioni svolte, però allunga i tempi della gestione dei casi. Il non virgolettato, il testo dell'articolo mette in fila quello che definisce "l'impressionante elenco dell'impotenza", che esiste nella "trincea" di Ostia in cui ci sono "decine di casi in cui 'l'assistente sociale è stato costretto a sventolare 'bandiera bianca'". Da sottolineare l'utilizzo di termini mutuati propriamente dalle descrizioni delle battaglie e che traducono in questo contesto il senso della lotta, impotente. Una descrizione forte che emerge anche e inevitabilmente dal quadro, altrettanto forte, che sta descrivendo.

Rinvii

Racconti e rappresentazioni

La trincea. Troppe cose da fare, poche risorse. Confronta la descrizione che emerge da questo articolo del lavoro dell'assistente sociale in una zona 'calda' con la messa in scena di Bertrand Tavernier

Situazioni limite e al limite. Metti a confronto la descrizione/narrazione che emerge da questo articolo con la sequenza tratta dal programma di Susy Blady e Patrizio Roversi

Coni d'ombra

Gli aspetti problematici dell'operare in una comunità difficile. Leggi questo articolo avendo presente le indicazioni e le informazioni che sono contenute nel documento "Comunità".

Quando troppo e quando troppo poco. Leggi questo articolo avendo presenti le informazioni del documento "Organizzazione"

Altri articoli

Danilo dice la verità, Elisa Vinci, "Repubblica", 24 luglio 1998, pag 21.

Bimbo ucciso ad Ostia: assistenti sociali, "qui resistiamo", ANSA 23 luglio 1998 h16.10

Quei giochi disperati nella capanna dell'orrore, di Gian Antonio Stella, "Il Corriere della Sera", 22 luglio 1998, pag. 3;

"A noi ci hanno rovinato i nostri ragazzi", Poi la polizia la porta dal giudice, di Dino Martirano, "Il Corriere della Sera", 23 luglio 1998, pag. 7;

Omertà familiare, di Isabella Bossi Fedrigotti, "Il Corriere della Sera", 26 luglio 1998;

Quando la famiglia fallisce, di Umberto Galimberti, "Repubblica", 22 luglio 1998, pag 1;

Viaggio nella città abusiva, di Vincenzo Cerami, "Repubblica," 22 luglio 1998, pag 1;

Il tribunale per i minori seguiva Mario e i suoi, lo afferma il presidente Luigi Fadiga, "Il Messaggero", 24 luglio 1998, pag. 2;

Non riesco a uscire dalle mie macerie, di Marco De Rigi e Antonella Strocco, "Il Messaggero", 24 luglio 1998, pag 3;

Si vedano anche:

- "Il Messaggero" dal 21 luglio 1998 al 15 agosto 1998;

- "Corriere della Sera" dal 21 luglio 1998 al 15 agosto 1998;

- "Repubblica" dal 21 luglio 1998 al 10 agosto 1998.