Un caso che divise le coscienze

Cosa è successo

Il 6 marzo 1989 un paese intero scende in piazza. A Racconigi, il municipio e la Usl vengono assediati dai dimostranti, si raccolgono quattromila firme in ventiquattro ore per protestare contro una decisione del Tribunale dei minori di Torino ritenuta ingiusta. Comincia così una delle vicende che in questi ultimi vent'anni ha più diviso le coscienze degli italiani, quella che ha coinvolto Serena Cruz e la famiglia Giubergia. I Giubergia, già genitori di un bimbo adottivo, Nazario, portano Serena dalle Filippine a Racconigi. A Manila Francesco Giubergia dice di esserne il padre naturale, la conduce in Italia e la iscrive all'anagrafe. La piccola (che all'epoca aveva tre anni) si inserisce bene nel nucleo familiare e si trova bene con il fratellino, anche lui di origine filippina. Il Tribunale dei minori viene a sapere - lo segnala un'assistente sociale - dell'esistenza della bimba, arrivata da fuori e per cui non è stata avviata alcuna pratica di adozione e convoca i Giubergia. Si apre una fase di accertamenti. Il punto è se è vero che Francesco - che nel frattempo fa domanda perché la piccola, figlia illegittima, sia inserita nella legittima famiglia - sia il padre naturale della bimba. I Giubergia mostrano documenti che lo proverebbero, il Tribunale ordina che venga fatto l'esame del sangue, Francesco non lo fa. Alla fine si autodenuncia, non è il padre naturale della piccola. Si sviluppa un'epopea fatta di carta bollata, fra pronunce del Tribunale dei minori che dice che la bimba non può stare con i Giubergia e i ricorsi dei coniugi. Alla fine, i giudici della Corte d'appello di Torino riterranno che la bimba non può rimanere con la famiglia. I Giubergia presenteranno ulteriori ricorsi, faranno anche richiesta di avere Serena in affidamento, ma sarà un nulla di fatto. Dopo un periodo in una comunità per minori, la bimba verrà data in adozione a un'altra famiglia. L'epilogo della vicenda è recente. Diventata maggiorenne qualche mese fa, Serena ha scelto di andare a vivere con i Giubergia. All'epoca il caso ha un'eco enorme. C'è una spaccatura fra chi ritiene corretta la decisione dei giudici e chi invece sostiene che la giustizia formale non renda ragione di quella sostanziale e che l'allontanamento di Serena dalla famiglia Giubergia, dove sta da oltre un anno ed è ben inserita, ricadrà su di lei in modo negativo: sentenza secondo legge, insomma - anche se in seguito si apre pure un dibattito su come i giudici hanno interpretato le norme -, ma contro la bimba e il fratellino, che vengono separati. Le "ragioni della legge" si oppongono alle "ragioni del cuore", così come ebbero modo di dire alcuni commentatori. Per la verità, la grande maggioranza del paese prende la parte dei Giubergia, vuole che Serena torni con loro. Un sondaggio commissionato dal quotidiano La Repubblica parla di otto italiani su dieci. La gente si mobilita, si costituiscono comitati pro Serena, le redazioni dei giornali vengono tempestate di lettere, a favore e contro. A un certo punto interviene persino il presidente della Repubblica Cossiga: scrive una lettera al ministro della Giustizia Vassalli per chiedergli di interessarsi direttamente del caso e di vedere, se possibile, di trovare una soluzione meno drammatica di quella che, seguendo la legge, hanno ordinato i giudici. Fra le personalità politiche che esprimono un parere c'è anche il presidente della Camera Nilde Iotti.

Il processo mediatico

La notizia è pubblicata a partire dal 7 marzo 1989 su La Stampa e viene trattata, con alterno rilievo, fino a settembre. In gergo tecnico si dice che 'tiene': nei quotidiani una vicenda viene seguita con continuità quando ha importanza perché c'è un tema (politico, economico, internazionale) che coinvolge direttamente i destini del paese o perché emerge un fatto di cronaca (per esempio un assassinio - pensiamo al caso di Cogne - o una calamità naturale, o un decesso per droga che fa scoppiare il caso - quello di J.B. per ecstasy nella notte di Halloween del 1999-) che mobilita l'attenzione dell'opinione pubblica. Quando si verificano eventi di tal genere, i quotidiani di norma non solo trattano la cosa 'seguendo' la cronaca, e dunque raccontando nel dettaglio ciò che accade, il modo in cui si sviluppa la vicenda, cosa che, nello specifico, La Stampa ha fatto dando voce alle parti in causa, servizi sociali compresi. Ma mettono in campo i propri più autorevoli commentatori, che prendono posizione. Sui casi più discussi, come questo, i quotidiani pubblicano punti di vista anche molto diversi, spesso opposti l'uno all'altro: è un modo di rispecchiare il dibattito che anima il paese rispetto a quella vicenda, soprattutto quando è molto acceso. Cronaca a parte, sul caso Cruz intervengono, nei diversi quotidiani, tanti autorevoli commentatori italiani. Da Gianni Vattimo a Adolfo Beria di Argentine, da Ferdinando Camon a Tilde Giani Gallino, Livio Zanetti, Paolo Guzzanti, Gian Giacomo Migone, Stefano Rodotà e tanti altri. E' rimasto celebre l'appassionato scambio di opinioni, su La Stampa, fra il filosofo Norberto Bobbio, a favore dei giudici, e la scrittrice Natalia Ginzburg, schierata per i Giubergia. Ginzburg scrive in quel periodo alcuni articoli per La Stampa e l'Unità e nei primi mesi dell'anno successivo pubblica per la casa editrice Einaudi un libro famoso, "Serena Cruz o la vera giustizia", in cui l'autrice riprende e approfondisce le argomentazioni degli articoli. Il giorno in cui esce in libreria, il quotidiano La Stampa pubblica uno breve stralcio del libro, affiancato da un intervista alla scrittrice e al pubblico ministero della vicenda Cruz. Nel processo di produzione dei giornali succede che, se e quando arriva in libreria una pubblicazione importante il cui tema ha un interesse giornalistico - come in questo caso -, si pubblichi un'anticipazione, in accordo con l'editore, in genere affiancata da articoli che spiegano il tema o che mostrano il punto di vista delle parti in causa, come ora vedremo.

Gli articoli

  1. Così incontrai i Giubergia, di Natalia Ginzburg, "La Stampa", 20 febbraio 1990, pag. 7

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La messa in pagina

Il testo di Ginzburg è collocato in quello che, in gergo tecnico, viene definito 'colonnino'. Qui è interessante notare la impostazione della pagina intera: a sinistra c'è il colonnino, seguito dall'articolo in cui viene riportato il punto di vista del pubblico ministero della vicenda (e questo pezzo è in apertura). In basso, 'a piede', l'intervista alla scrittrice. Siamo a pagina 7, nella sezione cronache italiane. La pagina ha in sostanza un titolo unico: "Sul caso Serena la Ginzburg accusa". L'occhiello è ancora sul libro: "Esce oggi il pamphlet della scrittrice: 'Ho voluto denunciare una grande ingiustizia'". Il catenaccio sotto il titolo riguarda invece il punto di vista del pm: "Ma il giudice: il libro farà del male alla bambina". Non c'è qui un intervento, diretto o indiretto, dei servizi sociali. Il colonnino è in genere la parte della pagina di un quotidiano - soprattutto se ci troviamo nella prima pagina o in quella della cultura - in cui scrivono gli autori: personaggi, scrittori, editorialisti, commentatori. Personaggi del mondo dell'editoria, del sapere o della società che esprimono un'opinione, un parere. In questo caso è stato traslato a pag. 7 con una funzione analoga ed è occupato da un breve estratto del pamphlet di Ginzuburg che è una nota scrittrice il cui punto di vista fa appunto opinione. Non abbiamo dunque a che fare con un pezzo di cronaca, ma con un punto di vista preciso formatosi sugli eventi. E' una lettura, un angolo particolare da cui l'autore guarda le cose. Per sua natura non è neutro o equidistante. In questo caso, poi, il testo è l' estratto di un pamhlet, vale a dire di uno scritto per definizione critico, dialettico, polemico: partigiano. Il titolo: "Così incontrai i Giubergia", il catenaccio: "Persone ammirevoli e rare che non vogliono rassegnarsi". Il colonnino ha in apertura quello che viene definito un 'distico', un breve scritto in cui si spiega che cos'è e da dove è tratto il testo. Ginzburg esordisce specificando la natura di ciò che scrive: non un saggio, ma appunti su pensieri che lei ha sviluppato sulla vicenda Cruz e su alcuni altri eventi che sono accaduti contestualmente. Dichiaratamente, espressamente l'autrice si schiera con i coniugi di Racconigi. Racconta di quando è andata a trovarli a casa loro, li descrive così: "Essi hanno speso e spendono tutti i loro risparmi in avvocati, perché gli sia restituita una bambina che non si rassegnano di aver perso. Della morte ci si può consolare, essi dicono, ma di una perdita quale è stata questa non esiste consolazione. L'hanno amata come fosse stata una loro figlia di sangue. Pazientemente ancora aspettano che gli sia restituita". Ginzburg utilizza più volte il codice della interrogazione a chi legge, anche se non usa la prima persona plurale (il "noi"), chiede più volte al suo ipotetico lettore di riflettere sui paradossi che mette in evidenza attraverso le domande retoriche: "Ai Giubergia i giudici hanno detto che Serena non la potranno riavere mai. Adottate pure degli altri bambini, ma Serena non la riavrete mai più. Idonei per altre nuove future adozioni, ma inidonei per questa? Come si fa a non chiedersi perché, dalla mattina alla sera?". Solidale con i Giubergia, ne descrive le emozioni, le preoccupazioni: "L'hanno amata come fosse stata una loro figlia di sangue. Cosa importa se non lo era? Sono preoccupati per la sua salute. Aveva disturbi, aveva i timpani perforati. Bisognava curarla. Chissà se l'avranno curata bene? Loro le avevano fatto fare tutte le vaccinazioni, hanno ancora tutti i certificati, e nessuno, nel portargliela via, ha pensato a domandare se era stata già vaccinata. Non hanno domandato niente. Sembra un particolare irrilevante ma è un bel segno di incuria. Nemmeno domandare se era stata vaccinata o no?". L'abitazione dei Giubergia è accogliente, calda: "La casa è tranquilla, bassa, circondata di prati, una casa che sembra fatta perché i bambini vi crescano in pace. Li conoscono tutti in paese, i Giubergia e tutti li amano, tutti hanno condiviso la loro grande sventura. Se gli sono state mostrate avversioni e ostilità da altre parti, li ha però sorretti e aiutati l'amicizia e la solidarietà del paese". Sono genitori attenti e affettuosi, quando hanno preso Nazario, a Manila - il piccolo adottato legalmente -, "era così sofferente e malato che non riusciva a mangiare e la madre adottiva passava ore a cercare di fargli inghiottire qualche briciola di cibo". Una descrizione in cui c'è tutto il calore di un luogo accogliente, di genitori che non vorrebbero altro che la "loro" bimba tornasse a casa. Gli assistenti sociali vengono richiamati una volta sola: "Per tutto il tempo che sono stata da loro, Nazario è rimasto stretto alla madre. Lo turbava la nostra presenza. Penso ricordasse le visite delle assistenti sociali, che sedevano in cucina a bere il caffè e poi gli avevano portato via la sorella". Va qui ricordato che fu un assistente sociale che segnalò la presenza della bambina al Tribunale dei minori (ne aveva l'obbligo, in quanto era funzionario pubblico) e che furono gli Assistenti sociali - insieme alla signora Giubergia che accompagnò la piccola - a portare Serenza in una comunità di minori a Torino. Va anche ricordato che i Giubergia avevano già adottato un bambino, il piccolo Nazario, appunto, e dunque erano conosciuti dagli Assistenti sociali. Gli Assistenti sociali, citati una volta sola e in modo astratto, senza riferimenti specifici a persone o servizi, fanno due cose che contrastano nettamente: prima prendono il caffè in cucina e poi portano via Serena. Una cosa che l'autrice pensa che turbi il fratellino che lo ricorda e rimane stretto alla madre per tutto il tempo della visita.

Ipotesi di lettura

Narrazione dichiaratamente parziale e schierata, il libro di Natalia Ginzburg è nel suo complesso un lungo e appassionato argomentare contro l'astrattezza della legge, dei giudici, dello stato e, con loro, degli Assistenti sociali. Tutti lontani, distanti - non sono mai andati una volta a trovare i Giubergia: "io - dice l'autrice - non sono un giudice e non avevo dunque nessun obbligo di prendere il treno" - eppure in grado di decidere dei destini delle persone e di intervenire pesantemente nelle loro vite, in nome delle norme, che del resto - sostiene l'autrice - potrebbero anche avere altre interpretazioni rispetto a quelle date. Un giudizio senza appello che percorre l'intero pamphlet che non a caso ha questo titolo: "Serena Cruz o la vera giustizia", e la vera giustizia, per Ginzburg, è quella sostanziale, non quella formale. Il sabato è per l'uomo non l'uomo per il sabato, dice Gesù nel Vangelo. Le leggi sono fatte per le persone e non le persone per le leggi. Anche in questo breve estratto pubblicato su La Stampa, come in altre descrizioni/narrazioni in cui compare l'Assistente sociale (in questa parte di Racconti e rappresentazioni lo si può riscontrare in "Fuori da scuola a Trento" e in " I fratelli di Domodossola"), torna l'idea del ratto obliquo, levantino. In questa narrazione gli Assistenti sociali prima prendono il caffè in cucina e poi portano via la bimba. Entrano in uno dei luoghi più intimi della casa, la cucina, hanno gesti di apertura - prendono il caffè - ma poi "portano via" Serena. Addirittura Il fratello Nazario, ricordando questi comportamenti potrebbe esserne spaventato. E' il gesto chiave della figura dell'As - citato un'unica volta - in questo racconto, come lo è di altri ("Fuori da scuola a Trento", "I fratelli di Domodossola"). Il testo è espressamente di parte, le ragioni che sottolinea sono quelle dei Giubergia. E' contro i giudici e coloro che, nel nome della legge, hanno allontanato la piccola. Dunque pure gli Assistenti sociali. Ginzburg fa una fotografia con le parole: quasi si vede un tavolo di cucina con tazze di caffè bollente, persone che si sorridono sorseggiando e poi alcune di queste portano via una bambina. Ginzburg scrive estremizzando: è del tutto probabile che nel concreto le due azioni chiave degli Assistenti sociali non siano avvenute insieme né che siano immediatamente conseguenti l'una all'altra (nell'ordine, nello stesso giorno: sono venuti a casa, hanno preso il caffè e poi hanno portato via la bambina) ma qui sono messe insieme e questo rende evidente il contrasto, in negativo, fra le due azioni. In accordo con il suo intento, l'autrice sceglie di avere uno sguardo interno alle emozioni della famiglia, alle sue preoccupazioni - "sono preoccupati per la sua salute. Aveva disturbi, aveva i timpani perforati. Bisognava cullarla, chissà se l'avranno curata bene?"- , ma non su quelle degli altri soggetti della narrazione, dei quali, del resto, non condivide in alcun modo l'agire: i giudici, gli Assistenti sociali.

Rinvii

Racconti e rappresentazioni

Metti a confronto i tratti di questa narrazione sull'assistente sociale con la messa in scena di Ken Loach e rifletti su convergenze e divergenze nelle rappresentazioni, tenendo conto dello specifico del mezzo

Confronta questa rappresentazione sull'assistente sociale con quella che emerge dalla trasmissione di Enzo Biagi e nelle parole di Paolo Crepet. Tenendo conto dello specifico del mezzo, rifletti su convergenze e divergenze

Coni d'ombra

Analizza questa descrizione/narrazione alla luce delle considerazioni svolte da Elena Allegri nella parte in cui si occupa del rapporto fra informazione, fatti, complessità del lavoro con i minori e rappresentazioni

Analizza i tratti di questa narrazione avendo presente il contributo di Anna Rosa Favretto

Rifletti su questo brano dopo aver letto le due testimonianze di Domenico Pennizzotto e Lara Gastaldi. Quanti differenti punti di vista emergono?


  1. Estratto da Natalia Ginzburg, Serena Cruz o la vera giustizia, Einaudi, Torino, 1990

Leggi il testo

La messa in pagina

l testo che vediamo non è stato pubblicato su alcun giornale a larga diffusione, ma è contenuto nel pamphlet di Natalia Ginzburg, a pagina 64-65. Ricordiamoci che, mediamente, i libri che vengono venduti in libreria hanno una tiratura più bassa rispetto ai quotidiani e ai periodici a larga diffusione.

Per la precisione (…)

Va sottolineato che nella parte immediatamente antecedente (pagine 60 e seguenti e qui di seguito riportiamo ampi stralci), l'autrice ripercorre una serie di casi letti sulla stampa, di "bambini portati via ai genitori, adottivi o naturali. Notizie di bambini che sono stati prelevati nelle case, o nelle scuole, o negli asili-nido, da assistenti sociali e carabinieri, per decreto del tribunale, portati via e messi in adozione. Verranno così scelte per loro nuove famiglie gradite ai giudici. I genitori li perdono così per sempre (…)". Ginzburg argomenta che in nome del loro benessere i bimbi vengono allontanati dalla forza pubblica, con le più disparate motivazioni: "La miseria dei genitori. Una illegalità nell'adozione, quando si tratta di genitori adottivi. La vecchiaia dei nonni. La salute precaria degli zii (…)". Dice che "la vita di un bambino viene devastata per ricostruirla migliore. O meglio, in un modo che secondo le istituzioni è migliore. Però intanto viene devastata. Ora si sa troppo bene che le devastazioni, nell'infanzia, portano conseguenze irreparabili. Lo sanno tutti. E' un fatto ormai noto. E tuttavia, di continuo, inesorabilmente vengono operate con la forza pubblica". Continua: "Ci si chiede se, quando non c'era la legge 184, 'provvida e avanzata', queste devastazioni erano altrettanto frequenti. Ci si chiede se magari non era meglio prima, quando le istituzioni non avevano ancora stabilito che era loro dovere e loro diritto irrompere a forza della vita privata della gente". "I genitori o le persone che hanno allevato i bambini si ribellano in ogni forma possibile, nel vederseli portare via. E con loro a volte si ribellano i vicini di casa, gli amici o estranei che hanno appreso la notizia". Le decisioni dei Tribunali, dice Ginzburg sono "incrollabili e la loro volontà irrevocabile". "Della sorte dei bambini non si sa più nulla. A nessuno è dato saperne ancora qualcosa. Scompaiono in istituti e il Tribunale dei minori li mette in adozione. Vengono davvero adottati, o dati in affidamento provvisorio alle famiglie, o invece restano negli istituti per anni e anni? A nessuno è dato saperlo, soltanto le istituzioni lo sanno. E come può la gente prestar fiducia alle istituzioni? Questa fiducia non esiste più. Dopo tanti fatti così strani, così crudeli, come fa la gente a credere ancora che davvero le istituzioni si diano pena del benessere del bambino?". Mette in evidenza come, per lei, "il bene del bambino è crescere con qualcuno che gli vuol bene. Non è forse il suo benessere, ma è il suo bene. Il benessere, il benessere materiale, può svanire domani in un soffio e non lascia radici. Ma il bene lascia radici. Spezzare e devastare queste radici può fare di lui un infelice per tutta la vita. Per tutta la sua vita si porterà dietro il ricordo, consapevole o inconscio, di quel giorno in cui a un tratto e scomparsa la sua casa, la sua famiglia, tutto quello che lui credeva suo. Il bene di un bambino è crescere con qualcuno per cui egli è un valore supremo. I bambini che crescono negli istituti sentono di non essere un valore supremo per nessuno al mondo. Ma l'affetto, obiettano gli psicologi, in se stesso non può dirsi un bene, perché può darsi che sia un affetto di natura malata, oppressiva, ossessiva. Si, però affetto. Sulla qualità dell'affetto ci si può sbagliare. Un domani può diventare oppressivo. Però intanto è affetto. Nessuno è in grado di leggere nel futuro. Ma venga dato a un bambino oggi quanto oggi gli è necessario. Oggi gli è necessario crescere con una persona o con persone per cui egli è un valore supremo. Se cresce così, non lo toccate. Non dovrebbe a nessuno essere consentito di toccarlo".

Il testo che vediamo

Il brano qui in lettura riporta alcuni dei casi richiamati nelle pagine precedenti che Ginzburg apprende dalla lettura dei giornali. L'autrice, a sostegno delle sue argomentazioni, sintetizza vicende riportare dalla stampa nei mesi del caso Cruz. C'è una contrapposizione narrativa - in parte voluta, in parte probabilmente già esistente negli articoli di stampa - fra il calore degli affetti e l'implacabilità delle istituzioni: "Nel maggio, in Sardegna, due gemelle di otto mesi furono tolte ai genitori perché il padre era disoccupato e la madre cagionevole di salute. Malate di bronchite, denutrite e anemiche, le due gemelle erano state ricoverate all'ospedale. I genitori venivano sempre a trovarle. Seppero un giorno che c'era in corso un procedimento e che rischiavano di non vederle più. Cercarono di riprenderle, nascostamente, e riportarsele a casa. Scoperti, si difesero con pugni e calci. Condotti al commissariato, furono incriminati per tentata sottrazione di minore". Identico procedimento narrativo per i casi riportati immediatamente dopo, sia più rilevanti, sia meno. Poi Ginzurg si domanda, e domanda alla comunità dei lettori: "Come dovrebbero agire le istituzioni?". Risponde così: "E' così semplice e così ovvio che non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo. Se un capofamiglia è disoccupato, provvedano a cercargli lavoro. Se non ha casa, provvedano per una casa. Se i bambini sono allevati da nonni vecchi, venga dato aiuto a questi vecchi e a questi bambini. Se sono bambini lavati male, vestiti male, se hanno i pidocchi, le assistenti sociali si diano cura di portargli vestiti e pomate e di fare in modo che si lavino meglio". In coda a questo brano, ecco una sequenze di domande retoriche, rivolte direttamente alla comunità dei lettori: "Sennò le assistenti sociali, a cosa servono e perché ci sono? Oppure il compito delle assistenti sociali è unicamente quello di consegnare ai giudici le proprie relazioni verbose, dove la vita reale delle persone è del tutto assente? Agisce in questo modo lo stato di un paese civile? Manda i carabinieri nelle case? I bambini li fa sparire non si sa dove?". Le assistenti sociali sono richiamate - anche questa volta senza riferimenti specifici a persone o a servizi precisi, in generale, in astratto - in due punti. Il loro agire, assimilato a quello dello stato, delle istituzioni, è caratterizzato da un impronta burocratica, il loro compito pare essere <unicamente> quello di consegnare ai giudici relazioni "verbose". Dovrebbero invece lavare i piccoli se sono sporchi, vestirli con decoro se sono vestiti male, dar loro pomate se hanno i pidocchi.

Ipotesi di lettura

Tornano qui alcuni elementi che abbiamo potuto riscontrare nel precedente brano e che caratterizzano tutto il libro: le argomentazioni "calde" contro l'astrattezza della legge, la distanza dello stato dal cittadino, dalle famiglie, la sua implacabilità a dispetto degli affetti e delle emozioni. E' questa, del resto, la sua tesi. Che molti hanno condiviso e altri, con argomentazioni opposte non hanno accolto, già ai tempi in cui il caso Cruz era ancora aperto (Norberto Bobbio, per esempio che abbiamo in chiusura di questa analisi, in lettura). E' interessante per noi notare che gli Assistenti sociali vengono in questo brano, ma anche in altre descrizioni/narrazioni (si può riscontrare in "via Capo dell'armi a Ostia", sempre nel segmento "Stampa" di Racconti e rappresentazioni), assimilati allo Stato e alla sua astrattezza e burocrazia un po' ampollosa: consegnano ai giudici "relazioni" - elemento inequivocabilmente, ma anche inevitabilmente - burocratico, e queste relazioni sono "verbose". Cioè sono noiose, polverose, piene di parole forbite e fredde e non hanno nulla a che vedere con la vita vera: sono distanti dall'esistenza delle persone. In altri testi (in questa stessa parte di Racconti e rappresentazioni lo si può osservare in "Fuori da scuola a Trento") gli Assistenti sociali esibiscono decreti, agiscono "secondo il regolamento" (si veda, a questo proposito "Aspettando la faccia buona della legge" in "I fratelli di Domodossola, in questa parte di Racconti e rappresentazioni). Del loro agire emergono gesti freddi, burocratici. In generale, sovente nelle descrizioni/narrazioni gli Assistenti sociali 'scontano'- quando lo sono e lo sono ancora nella maggior parte dei casi - la loro natura di funzionari pubblici (o incaricati di pubblico servizio) e, a prescindere da ruoli e funzioni (essi sono spesso funzionari pubblici o incaricati di pubblico servizio che hanno anche compiti burocratici), ricadono su di loro gli elementi che rappresentano i tratti tipici dello stereotipo del 'pubblico'. Ginzburg dice: "Se sono bambini lavati male, vestiti male, se hanno pidocchi, le assistenti sociali si diano cura di portargli vestiti e pomate e di fare in modo che si lavino meglio. Sennò le assistenti sociali a cosa servono e perché ci sono?". La domanda è provocatoria e la risposta è già data dall'autrice: di contro alla freddezza e verbosità delle relazioni che consegnano ai giudici, dovrebbero invece lavare i bambini, vestirli, dar loro pomate. Descrive gesti molto concreti che ritiene che essi siano ciò per cui servono Assistenti sociali, cosa su cui esiste probabilmente in generale ancora oggi un equivoco di fondo: questa è una figura professionale che opera con altri obiettivi e con gesti differenti, altrettanto concreti. Ha senso, a questo punto, rilanciare la domanda, in maniera non provocatoria: in che modo deve operare chi fa l'Assistente sociale, a che cosa serve e perché esiste una figura professionale di questo tipo?

Rinvii

Racconti e rappresentazioni

Metti a confronto l'elemento 'burocratico' rappresentato da Natalia Ginzburg con quello rappresentato in "Il sapore dell'acqua" e rifletti su divergenze e convergenze nel modo di guardare tale aspetto

Confronta la narrazione di Natalia Ginzburg con la rappresentazione della signora Sellner fatta da Chris Columbus e rifletti sul modo in cui ciascun autore rappresenta la distanza dell'assistente sociale dal 'cliente'

Rifletti sul modo in cui Natalia Ginzburg presenta gli interventi delle istituzioni su casi determinati a sostegno di minori e famiglie e su come lo fa Biagi. Metti a confronto le rappresentazioni che ne derivano, evidenziando divergenze e convergenze

Confronta la rappresentazione che Natalia Ginzburg fornisce dell'elemento burocratico con quella che dà Dino Martirano e rifletti su analogie e divergenze

Coni d'ombra

Analizza questa descrizione/narrazione alla luce delle considerazioni svolte da Elena Allegri nella parte in cui si occupa del rapporto fra informazione, fatti, complessità del lavoro con i minori e rappresentazioni

Leggi questa narrazione prendendo in considerazione gli elementi sottolineati nel documento "Definizione"

Metti a confronto le considerazioni di Natalia Ginzburg su ciò che l'assistente sociale dovrebbe fare con le funzioni descritte nella tavola sinottica


Altri articoli

Alzare lo sguardo, di Norberto Bobbio, "La Stampa", 01/04/1989, pag. 1 e 2

La mia verità su Serena Cruz. Ma quella campagna fece perdere Serena, di Vera Schiavazzi, "La Repubblica", 09/06/2004, pag. 1e 7 della Cronaca di Torino

Leggi l'articolo

Ipotesi di lettura

Rinvii

Racconti e rappresentazioni

Un mestiere spesso poco visibile. Perché? E perché non può esserlo di più? Questi sono alcuni degli interrogativi che questo articolo contribuisce a far emergere. Confrontali con quelli che vengono in evidenza nelle ipotesi di lettura del testo di Furio Colombo e rifletti su di essi

Coni d'ombra

Perché il mestiere è spesso poco visibile? E perché non può esserlo di piu? Metti in relazione alcuni degli interrogativi che questo articolo contribuisce a far emergere con il contributo di Elena Allegri sul rapporto fra visibilità e invisibilità del mestiere dell'assistente sociale

Rifletti su alcuni interrogativi che questo articolo contribuisce a far emergere analizzando il contributo di Anna Fiorentini sulla dialettica fra visibilità e invisibilità nella professione dell'assistente sociale

Molti coni d'ombra? Perché? Rifletti su alcuni interrogativi che questo articolo contribuisce a porre, prendendo in considerazione le affermazioni di Aurelia Tassinari sul perché della ricorrente scarsa visibilità di una buona fetta del lavoro dell'assistente sociale


Paese sciopera per una bimba, di Grazia Novellini, "La Stampa", 07/03/1989, pag. 1, segue in 2;

Povera piccola Serena, vittima del giudizio di Dio, di Gian Giacomo Migone, "L'Unità", 28/03/1989, pag.9

Serena, l'assurda virtù di una sentenza senza giustizia, di Giuseppe Anzani, "Avvenire", 21/03/1989, pag. 1;

La storia di affetti e inganni che ha diviso le coscienze, di Ettore Boffano, "La Repubblica", 05/04/1989, pag. 9;

Se un affare di cuore diventa un business, di Carlo Chianura, "La Repubblica", 2/04/1989, pag. 18;

I giudici sono divisi sul destino di Serena, di Vera Schiavazzi, "La Repubblica", 30/04/1989, pag. 6;

Meglio una legge o una bambina?, di Paolo Guzzanti," La Repubblica", 22/03/1989, pag.1;

La storia vera di Serena, di Vera Schiavazzi, "La Repubblica", 21/03/1989, pag. 18;

Poche righe su un foglio, di Meo Ponte, "La Repubblica", 17 marzo 1989, pag.16;

Due adozioni: troppo per un bambino, di Natalia Ginzburg," La Stampa", 23/04/1991, pag.17;

Serena? Ha ragione Vassalli, di Claudio Giacchino, "La Stampa", 07/05/1989; pag. 10;

Iotti, adozioni crudeli, di Andrea Di Robilant, "La Stampa", 19/04/1989, pag.1;

Giustizia nelle adozioni, di Norberto Bobbio, "La Stampa", 15/04/1989, pag. 7;

Perché in Italia è così difficile adottare un bambino, di Alfredo Carlo Moro, "La Stampa", 06/04/1989, pag. 9;

Per Serena continueremo a lottare, di Grazia Novellini, "La Stampa", 06 aprile 1989, pag. 9;

I Giubergia: facciano pagare noi, non la bimba, "La Stampa", 05/04/1989, pag. 6;

Perché Serena non torna a casa, "La Stampa", 05/04/1989, pag.6;

L'aiuto del silenzio, di Tilde Giani Gallino, "La Stampa", 05/04/1989, pag. 1;

Avrei dovuto fuggire con Serena, di Grazia Novellini, "La Stampa", 02/04/1989, pag. 10;

I fratelli di Serena, di Norberto Bobbio, "La Stampa", 29/04/1989, pag. 1;

Racconigi: ci hanno rubato la bimba, di Grazia Novellini, "La Stampa", 17/03/1989, pag.9;

Adesso ha sei piccoli amici in più ma la famiglia era un'altra cosa, di Eva Ferrero," La Stampa", 17/03/1989, pag.9;

Serena, ti porto all'asilo, di Marina Cassi, "La Stampa", 17 maggio 1989, pag. 9

Serena strappata, di Natalia Ginzburg, "La Stampa", 21/03/1989, pag.3;

Se arriva l'uomo nero, di Tilde Giani Gallino," La Stampa", 17/03/1989, pag.1;

Amore contro amore, di Ferdinando Camon, "La Stampa", 9 marzo 1989, pag. 1;

Serena deve lasciare la famiglia, di Grazia Novellini, "La Stampa", 08/03/1989, pag.6;

Lo spirito e la lettera, di Gianni Vattimo, "La Stampa", 08/03/1989, pag. 1.