Cinema

a cura di Michele Marangi


Tendenzialmente donna, con un'età tra l'indefinibile e l'attempato, in bilico tra la frustrazione personale e l'insensibilità professionale, un po' rubabambini un po' burocrate distante dalla realtà, quando appare non è quasi mai protagonista, se non per vicende che afferiscono alla sua sfera privata, e molte volte non ha quasi un nome proprio ma solo una qualifica: l'assistente sociale.

Non è particolarmente lusinghiero l'identikit della professione che si desume dalla maggioranza dei film di finzione che la vedono figurare tra i personaggi, ma il dato appare comunque significativo. Anche se un film non è mai lo specchio fedele della realtà, né una finestra aperta sul mondo così com'è realmente, il cinema offre spesso molti stimoli per riflettere sulle rappresentazioni più diffuse, che assumono e amplificano stereotipie e consuetudini profondamente radicate.

In questo senso, la scelta delle nove sequenze presentate in questa sezione non ha alcuna pretesa di esaustività, ma piuttosto mira ad offrire alcuni spunti di riflessione sulla molteplicità di rappresentazioni - non solo estetiche, ma anche culturali - riferite alla figura dell'assistente sociale. Dalla commedia al film realistico, dal grottesco al cartone animato, dall'introspezione psicologica al film a tesi, i nove esempi a prima vista sembrano attestare alcune caratteristiche di superficie associate in modo ricorrente al ruolo dell'assistente sociale, che non conosce mezze misure: ora salvatrice appassionata che lavora con abnegazione, ora burocrate inadeguata a comprendere i drammi umani.

Ma se non ci si ferma alla prima impressione, si reitera la visione e ci si interroga più in profondità, si coglie che spesso anche i film apparentemente più ovvii o stereotipati offrono molti spunti per interrogarsi sulla complessità del ruolo. Semmai evocando un non detto o un "non visto" che rimanda alla difficoltà di esplicitare compiutamente certi aspetti della professione, cui pure si allude continuamente. Ad esempio, la capacità di ascolto; oppure, il dissidio quasi mai indolore tra identità professionale e sentimenti personali; o, ancora, la complessità del lavoro sociale, che prevede una reticolarità di intervento e una stratificazione organizzativa non sempre semplice da gestire; non ultima, per importanza, la problematicità di un'immediata identificazione del mestiere rispetto al genere femminile.

La stessa marginalità del personaggio in molti film, che a prima vista appare l'attestazione di un certo pregiudizio, potrebbe anche leggersi come traduzione inconscia - e proprio qui sta una delle potenzialità del cinema inteso come strumento di indagine sociale, proprio nella sua capacità di dare forma a istanze spesso non razionalizzate pienamente né da chi lo produce né da chi lo guarda - di un aspetto problematico e complesso, così come emerge in molti contributi del secondo percorso di questo cd, legato ai "coni d'ombra": l'assistente sociale è una figura che non prevede sempre una piena visibilità e che, anzi, nell'assenza di protagonismo trova una strategia per esplicitare al meglio la sua funzione che spesso è di interconnessione, di mediazione, di organizzazzione delle risorse gestionali e umane.

Su queste basi, le nove sequenze intendono proporre un repertorio a 360 gradi, che partendo da film tendenzialmente recenti, permetta di interagire con molteplici visioni della professione, declinata in ambiti eterogenei e con caratteristiche sempre differenti. Con la speranza che il caleidoscopio del cinema permetta di riflettere in maniera più complessa e meno assertiva sulle molteplici sfaccettature si questo ruolo. Ma, ugualmente, con la speranza che il riconoscimento di certi luoghi comuni non si limiti a un repertorio critico o a un inventario provvisorio, ma piuttosto stimoli un atteggiamento di confronto e di analisi su ciò che radica tali luoghi comuni in una produttiva dialettica tra la complessità del reale e le tipizzazioni delle immagini che tentano, o presumono, di restituire tale realtà.